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Perdere peso senza riacquistarlo: il cervello può imparare

CervelloC’è chi può e chi non può (ma può imparare). C’è chi può stare a dieta e dimagrire, non riacquistando mai più i chili persi, e c’è invece chi, pur dimagrendo, è inesorabilmente destinato a rimettere su i chili persi con tanta fatica. La differenza nel mantenimento della perdita di peso a lungo termine, spiegano i ricercatori del Miriam Hospital di Providence (Rhode Island, Stati Uniti), la fa la risposta cerebrale agli stimoli della fame e alle immagini degli alimenti: dallo studio pubblicato sul Journal of Clinical Nutrition emerge che, attraverso la risonanza magnetica funzionale per immagini, si possono mettere in evidenza le differenze nei modelli di risposta cerebrale e, di conseguenza, spiegare perché alcune persone sono in grado di mantenere la perdita di peso, mentre altre sono predisposte a riguadagnarlo una volta perso. L’obiettivo, spiegano i ricercatori, è trovare un modo di “insegnare” soprattutto alle persone in sovrappeso e obese a rispondere agli stimoli del cibo: il mantenimento della perdita di peso, infatti, è uno degli strumenti per contrastare l’insorgenza dell’obesità, definita dall’Oms “uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo”.

I ricercatori hanno sottoposto immagini di alimenti a tre gruppi – persone di peso normale, soggetti obesi e individui che avevano perso almeno 15 chili ed erano riusciti a mantenere la perdita di peso per almeno tre anni – e ne hanno poi analizzate le risposte cerebrali. Dalla risonanza magnetica è emerso che davanti alle immagini di cibo le persone che erano riuscite a mantenere la perdita di peso erano più idonee ad attivare le aree del cervello associate al controllo del comportamento rispetto ai partecipanti obesi e normopeso: questi risultati, spiegano i ricercatori, suggeriscono che il mantenimento della perdita di peso a lungo termine si può imparare, apprendendo il modo di rispondere “cerebralmente” in modo diverso agli stimoli procurati dal cibo. “È possibile – spiega Jeanne McCaffery, principale autrice dello studio e docente di Psichiatria e comportamento umano alla Warren Alpert Medical School della Brown University – che queste risposte del cervello possano portare a comportamenti preventivi o correttivi che promuovano il controllo del peso a lungo termine“.

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Morbo di Crohn

crohnDescritta per la prima volta nel 1932 da Burrill Bernard Crohn, è una malattia infiammatoria cronica intestinale. L’infiammazione coinvolge tutta la parete della zona dell’intestino interessata, costituita nella maggior parte dei casi dal tratto terminale dell’ileo e dal colon. Frequentemente è associata anche a disturbi autoimmunitari, come le ulcere orali e le artriti reumatiche. All’inizio la malattia interessa la mucosa dell’intestino, con la formazione di ulcere che lentamente penetrano poi in profondità negli altri strati dell’intestino. I sintomi variano in base alla localizzazione della malattia, con dolori crampiformi agli addominali inferiori, diarrea, febbre, perdita di peso e occlusioni intestinali. La patologia non ha una tendenza alla guarigione spontanea. Tuttavia una dieta ricca di calorie e vitamine, che escluda cibi irritanti come grassi e latte, può dare giovamento. L’unica terapia risolutiva rimane quella chirurgica, cui ricorrere necessariamente in caso di occlusione o di perforazione intestinale. L’intervento chirurgico non porta tuttavia a una guarigione definitiva, ma in alcuni casi è necessario per evitare complicazioni gravi come stenosi, ascessi o fistole.

 

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