Archivio per aprile 2010

Vincere la cellulite grazie all’ippocastano


L’ippocastano (Aesculus hippocastanus) è il più noto drenante venoso e antinfiammatorio vascolare. Albero di grandi dimensioni, robusto e compatto, predilige le zone umide e ombrose. Ciò che contraddistingue questo albero sono le saponine, che si trovano nella pianta soprattutto a primavera e si distribuiscono nei tessuti giovani e ricchi di linfa. La miscela di saponine, nota come escina, inibisce l’eccessiva permeabilità dei vasi sanguigni, aumenta il tono della muscolatura vasale e svolge un’azione antinfiammatoria. Nell’ippocastano troviamo inoltre altri componenti che favoriscono la circolazione, come proantocianidine, flavonoidi e tannini, dall’azione astringente. Essi agiscono sui processi che regolarizzano la circolazione dei liquidi, sciolgono gli edemi e vivificano il sangue venoso “pigro” che minaccia di appesantire i tessuti e favorisce la formazione della cellulite.

Come usare l’ippocastano

 Dell’ippocastano vengono usate diverse formulazioni, come:

– la tintura madre (macerato dei semi freschi)

– l’estratto fluido e l’estratto secco titolato (in capsule o compresse)

– Il macerato glicerico gemmoterapico (preparato con le gemme fresche)

Negli estratti (fluido e secco) di ippocastano troviamo una maggiore concentrazione di saponine, mentre nella tintura madre c’è tutta “l’impronta” della  pianta: il dosaggio medio della tintura madre, in caso di cellulite già formata, è di 20 gocce due volte al giorno per un mese; il gemmoterapico svolge un’azione più sottile di regolazione della circolazione venosa e linfatica quando la cellulite non è ancora troppo evidente: se ne prendono 40-50 gocce una o due volte al dì.

L’infuso per gambe e caviglie

Preparate un infuso di ippocastano versando due capsule di estratto secco in una tazza di acqua bollente. Lasciate in infusione per dieci minuti, filtrate, fate raffreddare e usate il liquido per fare impacchi alle caviglie e attenuare il senso di stanchezza alle gambe.

Il bagno tonificante

Analogamente si può preparare un bagno tonificante per la circolazione con un decotto preparato facendo bollire per 15 minuti 50 grammi di corteccia di ippocastano in un litro d’acqua e versando il preparato filtrato nell’acqua da bagno.

Per riattivare la circolazione

Per uno stimolo energetico più sottile a livello della circolazione, versate 50 gocce di tintura madre di ippocastano nella vasca e immergete le gambe per dei bagni tonificanti. A fine bagno, potete anche eseguire un massaggio con 30 gocce di macerato glicerico, sempre di ippocastano.

Fonte Riza.it

La sindrome delle gambe senza riposo

La sindrome delle gambe senza riposo (SGSR), traduzione italiana dell’inglese restless legs syndrome, è un disturbo sensitivo-motorio caratterizzato da un intenso, irresistibile bisogno di muovere gli arti inferiori, più spesso le gambe, che compare nelle situazioni di riposo. Si stima che nei Paesi occidentali ne siano affetti dal 7 al 12% dei pazienti, con una prevalenza doppia nelle femmine rispetto agli individui di sesso maschile. 

I pazienti descrivono una sensazione di “fastidio”, “irrequietezza”, “dolore” o addirittura “tormento” agli arti inferiori. Possono associarsi in modo variabile altri disturbi sensitivi quali parestesie, dolori o crampi. Raramente, la sintomatologia descritta può interessare prevalentemente o elettivamente gli arti superiori. In maniera caratteristica i sintomi sono slatentizzati o aggravati dalle situazioni di riposo. Tipicamente, essi insorgono nel momento in cui il paziente si corica per prepararsi al sonno; nei casi più gravi, tuttavia, possono presentarsi anche in situazioni di riposo relativo, quali la lettura o la visione della TV sul divano, a tavola durante i pasti, durante un viaggio come passeggero in auto, in treno o in aereo. Il movimento allevia in maniera transitoria la sintomatologia; in risposta ai sintomi, i pazienti compiono movimenti di stiramento degli arti, di pedalamento, tamburellamento, fino a doversi alzare e camminare. Tuttavia appena il paziente si rilassa nuovamente, il disturbo si ripresenta. I sintomi tendono a concentrarsi in alcuni momenti della giornata, essendo solitamente prevalenti nelle ore serali e notturne. Inoltre, possono presentare momenti di esacerbazione e di remissione in alcuni periodi dell’anno e tra un anno e l’altro. La SGRS è causa di molti casi di insonnia secondaria, non permettendo al paziente di conciliare il sonno, e costituisce una fonte di disagio psichico oltre che somatico. Dormire male provoca effetti deleteri sull’efficienza psichica e fisica di un soggetto, con importanti conseguenze sulla qualità di vita dei pazienti e del loro nucleo familiare e con rischi potenzialmente catastrofici anche per la collettività (la maggior parte degli incidenti dovuti a “errore umano” sono da imputare a sonnolenza o ridotta attenzione, quasi sempre dovute a un sonno di cattiva qualità o insufficiente). Inoltre, alcuni pazienti possono avere limitazioni importanti sulla vita lavorativa e sociale, a volte non potendo tollerare di rimanere seduti per il tempo di una riunione, di una cena, di un film o di uno spettacolo teatrale o di un viaggio aereo intercontinentale. Si può facilmente intuire, pertanto, come questo disturbo possa essere invalidante nella vita quotidiana dei soggetti che lo sperimentano. La diagnosi di sindrome delle gambe senza riposo è essenzialmente anamnestica e si fonda su criteri definiti dalla American Academy of Sleep Medicine. L’esame obiettivo neurologico e i dati elettromiografici risultano completamente nella norma. L’esame polisonnografico notturno – non necessario per la diagnosi – può documentare la coesistenza di movimenti periodici degli arti inferiori durante il sonno, che configurano un disturbo denominato mioclono notturno (nella letteratura anglosassone periodic leg movements, PLM), che si associa all’80-90% dei casi di SGSR. Esso consiste in bruschi movimenti involontari di estensione dell’alluce, dorsiflessione della caviglia e, a volte, flessione del ginocchio e dell’anca, che si ripetono periodicamente a intervalli definiti tra 5 e 90 secondi, durante il sonno, e che possono associarsi a microrisvegli. A volte questi movimenti vengono avvertiti dal paziente o, più spesso, riferiti dal compagno di letto. La SGSR viene classificata in una forma idiopatica, responsabile della netta maggioranza dei casi, e in forme secondarie. La maggioranza di queste ultime si associa a deficit di ferro; è stata dimostrata una correlazione inversa tra i livelli plasmatici di ferritina e l’entità dei sintomi lamentati dai pazienti. Altre forme secondarie si associano a insufficienza renale cronica (particolarmente se in trattamento emodialitico), gravidanza, artrite reumatoide, alcune patologie neurologiche, alla sindrome da apnee ostruttive nel sonno o all’utilizzo di alcuni farmaci, in particolare gli antidopaminergici quali i neurolettici. Le forme idiopatiche possono essere sporadiche o familiari. La probabilità di un paziente affetto da una SGSR idiopatica di avere un familiare di primo grado affetto dalla stessa patologia è nell’ordine del 40-50%. I dati in letteratura sembrano corroborare l’ipotesi che la SGSR sia dovuta a una disfunzione del sistema dopaminergico, che coinvolge una via differente da quella nigro-striatale. Il ferro interviene come cofattore dell’enzima tirosina-idrossilasi nella via metabolica di sintesi della dopamina. La SGSR idiopatica tende a esordire in età giovane-adulta e ad avere un andamento cronico progressivo; in genere il paziente deve convivere con i sintomi. La gravità di questi ultimi può essere molto variabile da soggetto a soggetto (da forme lievi con minimo disagio a forme altamente invalidanti) e può presentare fasi di esacerbazione e remissione nel corso della storia naturale e in alcuni periodi dell’anno. 

Il primo approccio terapeutico alla SGSR è rappresentato dalla rimozione dei fattori potenzialmente aggravanti (alcol, caffè, fumo di tabacco,…) e da una corretta igiene del sonno. Nelle forme secondarie occorre innanzi tutto rimuovere il fattore causale. La supplementazione marziale è indicata nelle forme associate ad anemia anche di lieve entità.
Successivamente, la terapia farmacologica sintomatica è in grado in molti casi di attenuare o addirittura di indurre una completa remissione della sintomatologia. Tutti i farmaci che potenzino l’attività del sistema dopaminergico centrale sono efficaci nel trattamento della SGSR. Attualmente gli unici farmaci con indicazione ministeriale in Italia per la sindrome delle gambe senza riposo sono pramipexolo e ropinirolo, dopamino-agonisti di nuova generazione selettivi sui recettori D3. Essi presentano i vantaggi di un’emivita sufficientemente lunga, una buona efficacia anche a basse dosi e un elevato indice terapeutico. Tuttavia, l’utilizzo a lungo termine di tali farmaci – in termini di efficacia e sicurezza – necessita di essere ancora corroborato da ulteriori studi scientifici. Una problematica da tenere in considerazione nel trattamento cronico con farmaci dopaminergici è il fenomeno dell’augmentation, cioè il peggioramento della sintomatologia indotto da un provvedimento terapeutico per la sindrome stessa. Alternative terapeutiche a questi farmaci sono rappresentate dalle benzodiazepine, dagli oppioidi o da alcuni antiepilettici. Benché sempre considerata una condizione benigna, alcuni lavori recenti hanno dimostrato un’associazione tra SGSR e mioclono notturno e un aumentato rischio cardiovascolare, probabilmente tramite un meccanismo di iperattivazione del sistema nervoso simpatico correlato alla cattiva qualità del sonno notturno indotta dalla SGSR e dal mioclono notturno. Al momento, non ci sono evidenze a supporto di un possibile ruolo della terapia sintomatica della SGSR nel ridurre il rischio cardiovascolare, anche se è ragionevole ipotizzarne un’efficacia. La SGSR, spesso sottostimata nell’attività ambulatoriale quotidiana, merita da parte del clinico un’attenzione particolare e una presa in carico del paziente da parte di un centro di medicina del sonno, essendo in molti casi una condizione altamente invalidante per i pazienti. I progressi compiuti negli ultimi anni nella caratterizzazione, nella comprensione e nel trattamento di questo disturbo aprono prospettive interessanti per migliorare lo stato di salute e la qualità di vita dei pazienti affetti.
 
 

Fonti Bibliografiche

  • AASM. International classification of sleep disorders, 2nd ed.: Diagnostic and coding manual. American Academy of Sleep Medicine 2005
  • Ghorayeb I, Tison F. Epidemiology of restless legs syndrome. Rev Neurol (Paris) 2009; 165: 641-49
  • Kurlan R, Richard IH, Deeley C. Medication tolerance and augmentation in restless legs syndrome: the need for drug class rotation. J Gen Intern Med 2006; 21: C1-4
  • Pennestri MH, Montplaisir J, Colombo R, et al. Nocturnal blood pressure changes in patients with restless legs syndrome. Neurology 2007; 68: 1213-18
  • Silber MH, Ehrenberg BL, Allen RP, et al. An algorithm for the management of restless legs syndrome. Mayo Clin Proc 2004; 79: 916-22
  • Trenkwalder C, Hogl B, Winkelmann J. Recent advances in the diagnosis, genetics and treatment of restless legs syndrome. J Neurol 2009; 256: 539-53

Fonte MEDSOLVE (autore dott. Pietro Luca Ratti)


Caffè anti-gastrite: con una tostatura speciale lo stomaco è al sicuro

Buone notizie per chi ama il caffè ma è costretto a rinunciarvi perché gli provoca disturbi allo stomaco: una sostanza contenuta nei chicchi tostati potrebbe eliminare l’irritazione gastrica dovuta alla secrezione di acido. È quanto emerge da uno studio presentato nel corso del Convegno annuale dell’American Chemical Society dai ricercatori dell’Università di Vienna, in Austria. Nel corso della ricerca, gli studiosi hanno testato gli effetti di diverse varietà di caffè sulle cellule dello stomaco umano, identificando le sostanze chimiche che lo “irritano”: si tratta della caffeina, dei catecoli e dell`N-alkanoly-5-hydroxytryptamides, la cui miscela stimola la secrezione acida all’interno delle cellule gastriche. Insieme a queste, tuttavia gli studiosi hanno rilevato anche un componente del caffè tostato scuro, l’N-methylpyridium (NMP), in grado di ostacolare la produzione di acido cloridrico e, quindi, di ridurre o eliminare l’irritazione dello stomaco. Poiché l’NMP viene generato durante il processo di torrefazione e si trova dunque soltanto nei chicchi tostati, gli esperti stanno studiando il modo di incrementarne i livelli in diverse varietà di caffè crudi e in diversi metodi di tostatura, al fine di ottenere un nuovo caffè “sicuro” per lo stomaco. “La nostra scoperta potrebbe aiutare numerose persone che soffrono di sensibilità al caffè – spiega Veronika Somoza, ricercatrice dell’Università di Vienna -. Presto potremo iniziare la giornata assaporando una buona tazza di un caffè `amico dello stomaco`”. 

Fonte SALUTE24.it

I dolcificanti delle bibite hanno effetti dannosi sul fegato!

Lo sciroppo di fruttosio ottenuto dal mais (HFCS, High Fructose Corn Syrup), il dolcificante utilizzato nella maggior parte delle bevande e dei succhi di frutta zuccherati, ha effetti molto dannosi sul fegato, soprattutto se si è già affetti da steatosi epatica non alcolica.

 

Lo rivela uno studio pubblicato dalla rivista specializzata Hepatology. I ricercatori del Duke University Medical Center coordinati da Manal Abdelmalek hanno preso in esame 427 pazienti con steatosi epatica non alcolica, e scoperto che solo il 19% di loro non consuma bevande zuccherate. Incrociando i dati sulle abitudini dietetiche di questi pazienti e i referti delle biopsie epatiche alle quali sono stati sottoposti, è emerso che il consumo di sciroppo di fruttosio è associato allo sviluppo di fibrosi epatica. Spiega Fabio Marra del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Firenze: “Con il termine di fibrosi epatica si intende l’accumulo di tessuto di tipo “cicatriziale” nell’ambito del fegato. Con il progredire della fibrosi la matrice si accumula tra i vasi capillari e le cellule epatiche, impedendo i processi di scambio. Inoltre nuovi vasi si formano nell’ambito del tessuto cicatriziale, ed sangue non fluisce più come in precedenza, prendendo contatto con le cellule nobili, ma “sfugge” dal contatto con le cellule, determinando quindi una mancata detossificazione da parte del fegato.

Fonte SANITA’news 

Per approfondimenti


Curcumina, effetti benefici anche sul fegato

La curcumina, uno dei principali componenti della curcuma, sembra in grado di ritardare il danno epatico che porta infine alla cirrosi, secondo i risultati di una ricerca sperimentale.

La curcumina, uno dei principali componenti della curcuma, sembra in grado di ritardare il danno epatico che porta infine alla cirrosi, secondo i risultati di una ricerca sperimentale pubblicati sulla rivista Gut. La curcumina, la sostanza che conferisce alla curcuma la caratteristica colorazione gialla, oltre a essere presente nella cucina indiana viene utilizzata nella medicina ayurvedica per trattare un’ampia gamma di disturbi intestinali. Già diverse ricerche hanno dimostrato le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie della sostanza; questa volta invece i ricercatori hanno studiato l’influenza della sostanza sulla progressione di condizioni infiammatorie del fegato, tra cui la colangite sclerosante primaria e la cirrosi biliare primaria. Entrambe le patologie, che possono essere innescate da fattori genetici o da patologie autoimmuni, possono causare l’infiammazione, l’ostruzione e infine il blocco dei dotti biliari. Ciò porta a un esteso danno tissutale e a una cirrosi irreversibile e infine fatale. Per lo studio, i ricercatori hanno analizzato campioni di tessuto e di sangue di topi con infiammazione cronica del fegato prima e dopo l’aggiunta della curcumina alla dieta per un periodo variabile da quattro a otto settimane. Il confronto con un gruppo di controllo ha mostrato che la dieta alla curcumina è in grado di ridurre in modo significativo il blocco dei dotti biliari e il danno a carico di epatociti e la fibrosi, interferendo con numerosi cammini di segnalazione chimica coinvolti nel processo infiammatorio. L’effetto è risultato evidente sia a quattro sia a otto settimane, mentre nessun effetto è stato riscontrato nei topi nutriti normalmente. Secondo gli autori, l’attuale trattamento delle patologie infiammatorie del fegato, sono basate sulla somministrazione di acido ursodesossicolico, i cui effetti a lungo termine sulla salute tuttavia rimangono poco chiari. L’alternativa terapeutica in questi casi è il trapianto di fegato.

Fonte LeScienze

O Bella Ciao!

Il 25 aprile, in Italia, è festa nazionale, la Festa della “Liberazione”. In quella data infatti, nel 1945, i partigiani cacciano da Milano i soldati nazisti che la occupavano, prima dell’arrivo dell’esercito americano, ormai vicinissimo alla città. Per questo la Festa della “Liberazione” è considerata la festa della libertà dall’oppressione e dalla dittatura e anche la data di nascita della nostra democrazia.
Ogni anno quindi, in tutte le città italiane, il 25 aprile si festeggia questo anniversario con manifestazioni di piazza, discorsi e musica. Uno dei canti più diffusi in questo giorno è la celebre canzone popolare “Bella Ciao“: canto di origine comunista, è diventato l’inno della lotta partigiana contro i tedeschi. Negli anni Sessanta poi questa canzone diventa popolarissima anche fra giovani e studenti, come inno della libertà.

Conosciuta in tutto il mondo, cantata in tutto il mondo rimane tutt’oggi il canto di protesta dei deboli e degli oppressi!

Una mattina mi son svegliato
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
una mattina mi son svegliato
e ho trovato l’invasor.

O partigiano portami via
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
o partigiano portami via
che mi sento di morir.

E se io muoio da partigiano
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
e se io muoio da partigiano
tu mi devi seppellir

 Seppellire lassù in montagna
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
Seppellire lassù in montagna
sotto l’ombra di un bel fior

 E le genti che passeranno
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
e le genti che passeranno
mi diranno che bel fior

 Questo è il fiore del partigiano
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
questo è il fiore del partigiano
morto per la libertà.

La proteina che regola l’assorbimento dei grassi

Si punta sulla proteina VEGF-B per controllare l’accumulo di grassi nei muscoli. Un gruppo di ricercatori europei ha presentato uno studio che potrebbe aprire la strada a nuovi tipi di trattamento per la regolazione degli acidi grassi, il cui accumulo aumenta il pericolo di insorgenza del diabete di tipo 2 e di malattie cardiovascolari. Gli acidi grassi vengono assunti dall’organismo attraverso la carne, il pesce e i derivati del latte. Alcuni di essi, gli omega 3, sono ormai famosi perché contribuiscono a ridurre il rischio di ictus e patologie cardiovascolari. Per quanto riguarda gli altri tipi, tuttavia, la loro eccessiva presenza può generare insulino-resistenza e quindi il diabete di tipo 2. I ricercatori hanno perciò tentato di capire meglio i meccanismi alla base dell’assorbimento degli acidi grassi studiando in particolare una proteina, denominata VEGF-B (fattore di crescita dell’endotelio vascolare B), che ha il compito di trasmettere segnali dai muscoli ai vasi sanguigni. Fra i livelli della proteina e il contenuto mitocondriale, i livelli energetici dei muscoli, gli scienziati hanno trovato una correlazione. La VEGF-B sarebbe in grado anche di regolare il livello delle FATP (proteine di trasporto degli acidi grassi) nelle pareti vascolari. Uno dei partecipanti alla ricerca, Ulf Eriksson del Karolinska Institutet di Stoccolma, ha commentato: “i topi privi della proteina VEGF-B o dei suoi recettori nelle pareti dei vasi sanguigni avevano un assorbimento inferiore di grassi nei muscoli e nel cuore, e un minor accumulo di grassi nei diversi tessuti. Invece, abbiamo scoperto che il grasso residuo si accumula nel tessuto adiposo bianco, causando un lieve aumento di peso nei topi”. La scoperta più interessante sembra essere il legame fra l’assenza della proteina VEGF-B e il maggior assorbimento di zucchero nel cuore, verificato nei topi sottoposti ad analisi di laboratorio. Proprio questo fattore può dare il via a ricerche più approfondite che, sulla base del ruolo svolto da tale proteina, potrebbero trovare nuovi trattamenti in particolare del diabete di tipo 2.

Fonte ITALIAsalute

Le noci proteggono dal tumore alla prostata

Il consumo di noci rallenta la crescita del tumore della prostata, ed ha effetti benefici su molti geni associati al controllo di questa forma di cancro. Lo afferma uno studio americano presentato al meeting dell’American Chemical Associationd San Francisco. ”Questo studio – ha spiegato Paul Davis dell’Università della California – ha dimostrato che nelle cavie una quantità di noci facilmente assumibile anche dall’uomo mantiene controllato il tumore, e ho buone speranze che questo possa avvenire anche nei pazienti”. I ricercatori hanno nutrito cavie geneticamente modificate per sviluppare il tumore alla prostata con l’equivalente di 70 grammi di noci al giorno per l’uomo. Dopo 18 settimane la crescita del tumore risultava minore del 30-40 per cento rispetto al gruppo di controllo, e nel sangue dei topi sono stati trovati livelli molto più bassi di una proteina (Igf-1) associata allo sviluppo di questo tipo di cancro. Inoltre, un controllo dell’attività genetica delle cellule tumorali ha mostrato diversi effetti positivi su molti geni che controllano il metabolismo. Non è la prima attività positiva trovata per questo frutto: studi precedenti hanno già dimostrato che le noci hanno proprietà benefiche nel proteggere dalle malattie cardiovascolari.

Fonte AGIsalute


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