Posts Tagged 'memoria'

La memoria delle donne è migliore

 

La memoria delle donne funziona meglio di quella degli uomini, è l’ultima conferma scientifica che viene niente di meno che dalla prestigiosa Università inglese di Cambridge. I ricercatori si sono presi la briga di effettuare dei test mnemonici a circa 4.500 persone di ambedue i sessi tra i 48 ed i 90 anni. Ebbene il risultato ha convalidato innumerevoli studi già fatti in passato: la mente femminile è un passo avanti, le donne sono più “sveglie”, veloci, pratiche, ricordano meglio, insomma: lo dice anche la scienza, il cervello femminile funziona meglio. E dal punto di vista della ricerca, la differenza rilevata è costante in tutte le età.

Con questo, non voglio dire che sono più intelligenti! Gli studi scientifici hanno già provato che esistono numerose differenze di genere e che le caratteristiche delle donne per ciò che riguarda il cervello, sono migliori. E’ solo che ricordarglielo ogni tanto fa bene alla salute!

Ma l’obiettivo dello studio è ben altro ovviamente: riguarda l’analisi delle capacità cognitive col passare degli anni, in ambedue i sessi. Si vuole capire quale può essere uno standard di memoria a 50 anni oppure a 90, per poi individuare sia nel genere maschile che in quello femminile, quando e come si manifestano dei deficit, mnemonici e cognitivi, che spesso nelle persone anziane tendono a confondersi.

Così, uno degli autori della ricerca ha spiegato che “utilizzando i dati ricavati da questo studio si potrà stabilire se la memoria di un soggetto ad una certa età è normale o può nascondere un campanello d’allarme per malattie come l’Alzheimer“.

Lo studioso ha anche sottolineato come sia la prima volta che vengono testate così tante persone, e si conta di procedere e di arrivare almeno fino a 10.000 volontari! Di mezzo c’è la genetica, la neurologia, la psicologia … ma sicuramente, anche l’allenamento: le donne sono o non sono più abituate dei maschi a pensare, fare, organizzare e ricordare?

Google antidemenza: cercando su internet il cervello rimane giovane

googleScrivere i termini all’interno o al di fuori delle virgolette, utilizzare o no preposizioni semplici e congiunzioni, inserire l’estensione del file che si sta cercando per affinare la ricerca, rendendola più semplice: cercare informazioni e curiosità sui motori di ricerca come Google aiuta il cervello a mantenersi giovane rallentando – e in alcuni casi persino inibendo – l’insorgenza della demenza. Il segreto è nella continua stimolazione dei neuroni e delle connessioni cerebrali che l’esercizio mentale di ricerca sui browser in internet garantirebbe. Ad affermarlo uno studio statunitense che verrà presentato oggi in occasione della riunione annuale della Society for Neuroscience a Chicago da gruppo di ricercatori della University of California di Los Angeles (UCLA) guidati da Gary Small.

Uno stimolo lento ma costante è quello che, secondo gli scienziati, preserva il cervello dal declino mentale. Non solo internet, avvertono gli scienziati: qualsiasi esercizio mentale può giovare alla salute dei neuroni, mantenendoli più “scattanti”. Ma il “googling”, in particolare, consente di allenare in una sola azione la memoria – il termine da cercare – l’elasticità – scelta delle parole chiave – e il ragionamento – attraverso la comprensione e l’analisi dei risultati.

Lo studio è stato condotto su 24 persone di età compresa tra i 55 e i 78 anni invitate a effettuare ricerche online mentre il flusso di sangue nel cervello veniva controllato da una risonanza magnetica funzionale: dalle rilevazioni è emerso che venivano irrorate maggiormente le aree cerebrali deputate alla lettura, alla memoria e alla visione. Ai volontari sono poi state “somministrate”, come “cura” contro la demenza, delle sessioni di ricerche online da svolgere a casa con il proprio computer per due settimane, e sono poi stati sottoposti di nuovo alla risonanza magnetica funzionale: i risultati hanno mostrato che i miglioramenti rilevati dalla scansione iniziale si erano diffusi anche alle zone del cervello responsabili della memoria e del processo decisionale. “La ricerca online – conclude Moody Teena, che ha partecipato allo studio – può essere una semplice forma di esercizio per il cervello da impiegare nei più anziani”.

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Bere succo d’uva rinforza la memoria

Bere succo d’uva può preservare, rallentare o addirittura invertire la perdita di memoria. A suggerirlo uno studio condotto dal dipartimento di psichiatria dell’Università di Cincinnati. I ricercatori, dopo aver sottoposto a test mnemonici per tre mesi 12 anziani tra i 75 e gli 80 anni che soffrivano di una precoce perdita di memoria, hanno dimostrato che chi beve per tre mesi una varietà pura al 100% del nettare migliora del 75% le prestazioni mentali. Secondo i risultati, presentati all’International Polyphenols and Health Conference, le straordinarie potenzialità cognitive derivano dagli antiossidanti contenuti nella pelle e nel succo della frutta di “Bacco”.

 

Fonte SALUTE24.it

“Falsi i ricordi sotto tortura. Il cervello va in corto circuito”

Uno studio irlandese dimostra che le aree cerebrali cruciali per i ricordi rispondono allo stress alterando la memoria. 

Un prigioniero nel carcere di Abu Ghraib

Un prigioniero nel carcere di Abu Ghraib

DUBLINO – Che le confessioni estorte sotto tortura non fossero del tutto attendibili, lo si sospettava anche ai tempi della Santa Inquisizione. I prigionieri, sottoposti a tecniche di interrogatorio dolorosissime, pur di uscire da quella situazione erano pronti a giurare il falso. E anche un intelletto saldo come quello di Galileo Galilei abiurò le sue scoperte per sfuggire alle grinfie dei torturatori. La novità è che questo meccanismo di difesa non sarebbe volontario, ma inconscio, frutto di un vero e proprio “corto circuito” del cervello.  

Lo studio. La ricerca dell’Istituto di neuroscienze del Trinity College di Dublino, pubblicata dalla rivista Trends in Cognitive Science ha preso in esame i metodi usati dall’esercito Usa per interrogare i sospetti terroristi: privazione del sonno, isolamento, waterboarding (simulazione dell’annegamento). Secondo quanto riporta Shane O’Mara, l’autore dell’articolo, i centri nervosi legati alla memoria vanno in tilt se sottoposti a un forte stress. “Alla luce delle nostre attuali conoscenze neuroscientifiche”, spiega O’Mara, “è inverosimile che i metodi coercitivi funzionino per ottenere informazioni. Al contrario, causano grave e prolungato stress che compromette le capacità mnemoniche e decisionali del cervello del prigioniero”.

Non si tratta, quindi, solo del fatto che, sotto tortura, quando il dolore e l’ansia diventano insopportabili, si confesserebbe qualsiasi cosa sperando di accontentare il proprio aguzzino e mettere fine al supplizio; gli studi di O’Mara dimostrano che il cervello in queste condizioni arriva fino al punto di generare falsi ricordi. “La corteccia prefrontale e l’ippocampo, due aree cruciali per i ricordi, vanno in tilt in condizioni di eccessiva tensione”. Queste zone, infatti sono molto sensibili agli ormoni dello stress, e possono arrivare fino a produrre memorie di fatti mai accaduti. “Anche la corteccia frontale”, conclude O’Mara, “che è la sede decisionale del cervello, viene sconvolta dalla tortura”.

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Memoria e attenzione: un cervello allenato vince le distrazioni

MemoriaLe persone dotate di una maggiore capacità di memorizzazione tendono meno a distrarsi. È quanto emerge dallo studio pubblicato su Neuroscience dai ricercatori dell’University of Oregon, secondo cui è più facile catturare l’attenzione di chi ha poca memoria.

La ricerca è stata condotta su 84 studenti che sono sottoposti a quattro diversi esperimenti, durante i quali la loro attività cerebrale è stata monitorata attraverso un’elettroencefalografia. Dall’analisi è emerso che i ragazzi che avevano più memoria riuscivano più facilmente ad ignorare le distrazioni e rimanere focalizzati sui compiti loro assegnati.

“È possibile – afferma Edward K. Vogel, che ha guidato lo studio – paragonare la memoria di una persona a quella di un computer: maggiore è la Ram, migliori sono le capacità di elaborazione. Così gli studenti con più memoria tendono più facilmente ad ignorare le distrazioni”.

“I risultati ottenuti  – prosegue l’esperto -, non significano che le persone più inclini a distrarsi abbiano necessariamente dei problemi di apprendimento, anche se i punteggi riportati dai ‘più attenti’ si sono dimostrati più elevati e la loro intelligenza si è rivelata più versatile”. Vogel, tuttavia, è attualmente impegnato a verificare se anche chi ha meno memoria possa essere caratterizzato da aspetti positivi, come una maggiore fantasia e creatività.

“Capire il meccanismo che regola l’attenzione – conclude lo studioso – potrebbe consentire  di sviluppare una terapia volta a migliorare il processo di apprendimento delle persone  che tendono a distrarsi più facilmente”.

La pioggia aiuta la memoria

Secondo uno studio col brutto tempo si ottengono migliori risultati nei test, specie se l’umore è basso

MILANO – In una primavera uggiosa può essere confortevole sapere che la pioggia almeno un vantaggio ce lo dovrebbe avere. Secondo una ricerca australiana infatti la nostra memoria verrebbe favorita dal tempo grigio. Ancor meglio se grigio è anche l’umore.

PIOGGIA DI RICORDI –Secondo i risultati dello studio dell’Università del New South Wales di Sydney , la nostra memoria ricorda tre volte di più quando siamo depressi; e un clima in perfetto stile britannico stimola la mente molto di più di un habitat assolato come quello australiano o mediterraneo. Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno condotto un test sugli avventori di un negozio: presso l’accesso sono stati disposti casualmente dieci oggetti, per lo più giocattoli come animali di plastica, macchinine tra cui un autobus rosso e un trattore, un piccolo cannone e un salvadanaio a forma di maiale. Per influenzare ulteriormente l’umore dei clienti, all’interno del negozio è stata diffusa musica triste nei giorni piovosi e allegra nelle belle giornate. Alla fine delle compere è stato chiesto ai soggetti del test quali degli oggetti visti all’ingresso si ricordassero. La conclusione è stata che la loro memoria era decisamente più accurata nelle giornate uggiose.

IL VANTAGGIO DI ESSERE TRISTI – «Sembra un contro senso – spiega il professor Joe Forgas, a capo dello studio – ma un po’ di tristezza è una buona cosa. Infatti le persone hanno fallito il test nei giorni di sole, quando erano più propense a essere allegre e spensierate». Questa ricerca rispecchia il risultato di analisi precedenti che avevano dimostrato che gli studenti depressi avevano voti migliori rispetto ai loro compagni felici. Più in generale si può constatare che il modo in cui la nostra mente pensa e ricorda è fortemente influenzato dal nostro stato d’animo. Quando siamo leggermente turbati aumenta la nostra attenzione nei confronti dell’ambiente che ci circonda e tendiamo a pensare in modo più concentrato e approfondito. Quando siamo felice e di buon umore invece mostriamo più interesse per le persone che incontriamo, concentrando le nostre veloci valutazioni su di esse piuttosto che sullo scenario complessivo.

fonte Reuters

I ricordi in un neurone: ecco come funziona la nostra «memoria Ram»

Tutto in un neurone. Fino ad oggi la memoria era stata descritta come il risultato delle connessioni tra le cellule del cervello. Adesso una ricerca pubblicata su Nature Neuroscinece ha accertato che anche un solo neurone della parte frontale del cervello è capace di “intrappolare” i ricordi per più di un minuto. “La memoria funziona come un computer – dice Donald Cooper, uno degli autori della ricerca: una parte dei ricordi viene immagazzinata `sul disco` rigido, in maniera permanente; un’altra in una memoria Ram, riscrivibile e a breve termine”. I singoli neuroni svolgono la stessa funzione della memoria a breve termine: i ricordi vengono conservati per poco più di un minuto, ma in questo breve lasso di tempo sono “consultabili” molto più velocemente di quelli stipati nella memoria a lungo termine. Ordinare e cercare un ricordo negli infiniti `cassetti della memoria` può richiedere infatti alcuni minuti. Il nuovo studio, invece, ha scoperto che nei singoli neuroni, grazie a un processo chiamato trasmissione metabotropica del glutammato, la memoria si attiva molto più rapidamente – in meno di un secondo – tiene i ricordi “in caldo” pronti per l’uso, e poi li cancella dopo circa un minuto. Lo studio ha anche descritto come sulla memoria a breve termine influisca la dopamina. Questa sostanza, se presente nei neuroni a un livello ottimale, fa “concentrare” meglio le cellule nervose. Ma la virtù sta nel mezzo e un eccesso di dopamina, al contrario – a causa dell’abuso di alcol o droghe, ad esempio – pregiudica la capacità di concentrarsi e di prendere decisioni in poco tempo. La ricerca sembra promettente soprattutto in una direzione: “Se riuscissimo a identificare e a manipolare le componenti molecolari della memoria – conclude Cooper – potremmo sviluppare farmaci contro i deficit di attenzione”.

Una pillola alla nicotina per combattere l’Alzheimer

La nicotina fa bene alla mente. Mantiene svegli, migliora le capacità di concentrazione e aiuta la memoria. In poche parole, contrasta l’aggravarsi dell’Alzheimer e delle altre forme di demenza. Lo ha rilevato uno studio dei ricercatori del King’s College di Londra, che stanno mettendo a punto una pillola alla nicotina. I ricercatori puntano a ottenere un farmaco che contenga tutti i principi benefici del tabacco, eliminando invece quelli negativi responsabili di tumori, malattie cardiache e respiratorie. I primi esperimenti condotti sui topi hanno dimostrato che la nicotina interagisce con alcune sostanze del cervello, come la dopamina e la noradrenalina, sortendo effetti positivi nell’80% dei casi, nei quali viene rafforzata la “capacità a svolgere un compito con precisione”. Quando la cavia è distratta, però, la percentuale di risposte positive scende al 55%. In media, comunque, gli studi effettuati hanno rilevato che la nicotina aumenta del 5% il tasso di precisione nello svolgimento di un dato compito. Secondo quanto sostenuto dai ricercatori durante il Forum of European Neuroscience di Ginevra, la pillola non rappresenterebbe una cura definitiva contro la demenza, ma solo un modo per attenuarne gli effetti negativi.

 

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