Archivio per agosto 2009

Lineamenti del viso: chiave per predire il declino cognitivo?

viso uomoForma del viso e declino cognitivo sembra che negli uomini vadano di pari passo. Secondo uno studio condotto da alcuni psicologi dell’Università di Edimburgo e pubblicato sulla rivista Evolution and Human Behaviour, uomini con volti simmetrici hanno meno probabilità di perdere la loro memoria e la loro intelligenza in età adulta. Gli studiosi, facendo un sondaggio sui volti di 216 donne e uomini scozzesi a partire dal 1932, hanno riscontrato un nesso tra condizione fisica e declino mentale di uomini di età compresa tra i 79 egli 83 anni. La simmetria del viso, sostengono i ricercatori, è sintomo di un minor numero di disturbi genetici e ambientali nel percorso di vita. Per i ricercatori non sono riscontrabili risultati simili nelle donne. Rispetto agli uomini, infatti, il loro DNA è diverso in materia di invecchiamento e il declino cognitivo in loro è ritardato perché in media vivono di più.

Il gelato: dalle origini al palato!

gelatoLe origini | Più che un alimento, il gelato può essere definito una preparazione alimentare ottenuta a mezzo di  ingrediendi vari sotto forma di miscela, portata successivamente allo stato solido o pastoso per congelamento e contemporanea agitazione la quale, durante la fase di gelatura, permette di incorporare aria all’interno della massa liquida.

Le origini risalgono alla notte dei tempi: da quando l’uomo ha cercato di bere qualcosa rinfrescandosi. I biblisti ne trovano attestazione nella Bibbia, nel passo in cui Abramo porge al figlio Isacco del latte di capra misto a neve, dicendogli “mangia e bevi, il sole è ardente e così puoi rinfrescarti”: probabilmente si sarà trattato di latte ghiacciato più o meno come un nostro sorbetto.

D’altro canto, in campo un pò più laico, uno studio condotto in Europa sulle abitudini alimentari delle popolazioni di epoca  neanderthalliana  conferma che gli uomini, per conservare più a lungo  bacche, pezzi di carne di cervide ed anche frutti secchi, già allora usavano seppellirli nella neve; poco dopo, diventando l’uomo anche allevatore da esclusivo cacciatore che in precedenza era stato, durante i periodi invernali cominciò a cibarsi pure di latte ghiacciato: in pratica cominciava ad affermasi l’abitudine di refrigerare frutta, latte e miele facendone alimento ghiacciato.

Furono gli Arabi in Sicilia ad inventare le prime moderne “granite” gelate. I nevaroli trasportavano a valle in città la neve gelosamente custodita nelle neviere dell’Etna o degli Iblei o delle Madonìe, la quale, mista al sale marino reperibile ovunque nell’isola, costituiva  il miscuglio di ghiaccio e sale, in funzione eutettica, contenuto in un mastello cilindrico esterno entro il quale, per lunghe ore  di lavoro, veniva fatto ruotare velocemente un recipiente cilindrico di minor diametro contenente la miscela liquida del gelato: acqua, succo di limone e, per dolcificante, il succo estratto mediante pressione dalla  “Canna di Persia”, così veniva identificata la Canna da Zucchero, la cui coltivazione, successivamente incrementata e favorita come canna da zucchero da Federico II, cresceva in modo vigoroso quanto spontaneo sulle spiagge nei dintorni di Palermo: il miele infatti, il dolcificante più noto e diffuso di allora, non si prestava bene a questa mansione.

Tale, appunto, doveva essere la tecnica di lavoro che sarebbe stata perfezionata nella stessa Sicilia dall’eclettico cuoco palermitano Francesco Procopio dei Coltelli nel sec. XVII e che così si sarebbe mantenuta fino all’avvento delle macchine elettriche.

In Sardegna, invece esisteva la carapigna ottenuta lavorando con neve di montagna latte ovino e frutta secca, oggi sostituita da più economiche scorze di limone.

E la neve conservata doveva essere durante il Medioevo un bene molto prezioso per esserci allora in varie città dei punti vendita durati peraltro fino a tempi relativamente recenti.

All’Epoca Rinascimentale risalgono attestazioni della presenza del gelato modernamente inteso che caratterizzava la tavola dei ricchi e dei potenti: pare che un tal Ruggeri, cuoco e pollivendolo, in una invenzione tutta italiana, abbia preparato  gustosi gelati  in occasione delle nozze di Caterina dei Medici.

Fu invece il palermitano Procopio dei Coltelli, nipote di Francesco, ad avere l’intuizione di perfezionare la macchina e procedimento già peraltro messi a punto dal nonno, inventando in pratica il moderno gelato commercialmente inteso.

Dalla originaria Sicilia il nostro intraprendente Procopio si portò nel 1686 a Parigi, accolto come geniale inventore e poco dopo, sull’onda del successo, spostò il suo Cafè  Procope in una sede più consona ed accogliente, nell’attuale Rue de l’Ancienne Comèdie, proprio di fronte ad una delle più prestigiose istituzioni di Francia, la Comèdie Française.

I prodotti offerti erano “acque gelate” – cioè le attuali granite -, i gelati alla frutta, i “ fiori di anice”, i “fiori di cannella”, il “frangipane”, il “gelato al succo di limone”, il “gelato al succo d’arancia”, il “sorbetto di fragola”: tutti autorizzati in esclusiva da una “patente reale” concessa da Luigi  XIV.

Gli avventori erano non solo attori, attrici, componenti vari della Comédie, ma anche  e soprattutto intellettuali, filosofi, letterati come Voltaire, George Sand,  Balzac, Victor Hugo, D’Alembert, De Musset, il dott. Guillotin, inventore della ghigliottina, il giovane tenente di Artiglieria Napoleone Bonaparte che una sera, non avendo con sé moneta sufficiente a saldare completamente il conto per le consumazioni  offerte agli amici, non esitò a  lasciare in pegno in suo bicorno d’ordinanza.

Oggi, dal punto di vista della lavorazione e quindi della produzione, sono presenti sul mercato due diverse varietà: il gelato artigianale e il gelato industriale.

Il gelato artigianale |  La caratteristica principale del gelato artigianale è data dall’uso di materie prime fresche; altre differenze rispetto a quello industriale sono date:

– Dal minor quantitativo di grassi: 6-10% dell’artigianale a fronte dell’8-12% contenuto nell’industriale;

– Dal minor quantitativo di aria: max 35% dell’artigianale a fronte  del  70% dell’industriale.

Nel vero e proprio gelato artigianale, inoltre, l’ingrediente di maggiore spicco è il latte, presente almeno al 60%, seguito dagli zuccheri, presenti in percentuale oscillante dal 14 al 24% e talvolta dei torli di uova di galline. Può essere inoltre rilevata con una certa frequenza anche la presenza del latte magro in polvere al fine di garantire un’adeguata quantità sia di proteine sia di solidi del latte,  particolarmente importanti per la tenuta della struttura.

 Tutti gli ingredienti precedentemente esposti costituiscono i componenti della base, ai quali si aggiungono alcuni additivi assolutamente innocui, come fra gli altri la farina di carrube come addensante, per ottenere un gelato di qualità.

I vari gusti si ottengono poi con l’aggiunta di ulteriori componenti quali la panna, la polpa di frutta, il cioccolato o quanto altro. Sono offerti in vendita anche gelati alla frutta senza latte e uova caratterizzati, pertanto, da minori calorie ma meno cremosi e gustosi.

Vari produttori di questo tipo di gelato precisano l’assenza di zucchero: in tal caso il saccarosio è stato sostituito con il fruttosio avente le stesse calorie ma caratterizzato da un indice glicemico minore.

La ricetta di un buon gelato artigianale, oltre ad un’oculata scelta di ingredienti di qualità, dovrà presentare un perfetto bilanciamento dei componenti solidi dei vari elementi.

Il gelato di frutta all’acqua più diffuso è il sorbetto, un dessert freddo privo di grassi e lattosio, nel quale sono assenti latte e relativi derivati.

Altri ingredienti sono la frutta, presente in rapporto oscillante dal 25 al 60% del peso totale e gli zuccheri aggiunti, presenti in percentuale del 25%.

Per quanto riguarda la cremosità di questo tipo di gelato, gli autentici gelatieri, cioè i professionisti del gelato, con la loro bravura maturata in base a perfette conoscenze tecniche, sono in grado di preparare un prodotto caratterizzato da una tessitura assolutamente cremosa; altri operatori, ritenendo che il sorbetto sia meno cremoso del gelato, per renderlo tale, vi aggiungono grassi o latte.

Anche nella preparazione di gelati artigianali è facile che siano utilizzati come basi ingredienti composti, detti semilavorati, prodotti a livello industriale: il che non indica necessariamente un calo di genuinità o di bontà del prodotto finale.

I componenti utilizzati ed indicati in etichetta ne attestano la genuinità e del resto, con buona pace di tutti, l’uso delle basi per gelato è diffuso nella maggior parte delle gelaterie italiane, anche storiche e molto rinomate.

Ovviamente è necessario che la miscela base per i gusti debba essere pastorizzata sia per motivi di sicurezza igienica sia per ottenere tra i componenti solidi e l’acqua il miglior legame possibile  finalizzato ad una ottimale struttura  ed alla tessitura più cremosa del prodotto  finale.

Il gelato industriale | Il gelato industriale è prodotto generalmente vari mesi prima che sia consumato, usando preparati ed ingredienti come il latte in polvere, succhi di frutta concentrati nonché additivi come coloranti, emulsionanti, stabilizzanti e aromi.

Questo tipo di gelato è detto anche Soffiato per l’immissione di aria introdotta in percentuale del 100-130% durante la fase di gelatura che permette al prodotto di essere soffice e leggero.

Il consumo avviene in zone anche lontane dalle sedi di produzione, per cui la distribuzione del gelato industriale necessita, come condizione essenziale, del supporto di una organizzazione tale da garantire una efficace quanto continua catena del freddo.

Nel processo di produzione è la mantecazione che permette la trasformazione di una miscela liquida in gelato mediante l’azione del freddo, l’immissione di aria  e la continua agitazione: i gelati così “mantecati” vengono proposti in vendita al consumatore nel classico cono, in coppe o in coppette o sulla stecchetta.

I principali tipi sono alla frutta, sorbetto compreso, alle creme, allo zabaglione e allo yogurt.

In una prima classificazione in base agli ingredienti usati, i gelati si dividono in:

Gelati alla Crema di Latte se i componenti sono i seguenti, ripartiti nelle  proporzioni appresso indicate:

Latte o derivati dello stesso presenti almeno al 7% in grassi,
All’ 8% in residuo secco magro,
Al 13%  in zucchero,
Al 32%  in sostanza secca totale.
Gelati al Latte contenenti il 32% della sostanza secca totale;

Gelati alla Frutta se sono composti da:

frutta, presente almeno al 15%,  che scende al 10% per gli agrumi,
zuccheri, al 18%
residuo secco totale  al 28-31%
Da tutto quanto esposto si evince quindi che gli ingredienti principali del gelato sono il latte, la panna, lo zucchero, le uova, i grassi vegetali, frutta fresca, frutta secca, cacao o cioccolato, caffé ed altri ancora.

I gusti | Tra i gusti più diffusi ricordiamo la crema, il fiordilatte, il cioccolato, il cioccolato con nocciole detto anche Bacio, la stracciatella, il torrone, la nocciola.

Fra i gusti alla frutta ricordiamo il limone, la fragola, tutte le possibilità offerte dall’avvicendarsi della frutta di stagione: mela, pera, arancia, ribes, lampone, mirtillo, pesca e quanta altra ancora.

In Italia poi, nella patria del gelato, la fantasia permette di interpretare in molteplici modi in base ai locali prodotti agricoli.
Oltre ai suddetti gusti, si ricorda poi il gelato a base di Latte d’Asina, leggero e particolarmente adatto a chi soffre di allergie, offerto anche nelle “agrigelaterie” confezionato con latte appena munto e quindi “a chilometri zero”.
In varie parti della penisola sono offerti altresì i gelati più sfiziosi legati alle specialità locali, dall’amarone in Veneto, al pistacchio di Bronte in Sicilia, al bergamotto in Calabria ai frutti di bosco del Cuneense.

Interessanti sono, infine, le proposte dell’Enoteca Italiana che in occasione della 43° edizione di “La settimana del Vino” tenuta a Siena, presenta le creazioni di due rinomati maestri gelatieri dedicate al  gelato e al  mondo del Vino.

Sono stati, infatti, presentati a Siena tre gelati realizzati con tre tipologie di vini diverse  fra  loro: un passito, un bianco e un rosso, un Passito di Pantelleria, mentre nel contempo un noto artista del gusto di origine pugliese  offriva il  Gelato al Primitivo di  Manduria  e cioccolatini in chiave futurista in onore del centenario del movimento artistico fondato da Filippo Tommaso Marinetti.

I componenti in precedenza descritti, tutti graditi all’occhio e al palato inducono, però, specialmente il latte e le uova  per la loro facile deperibilità, ad un serio e costante discorso sulla sicurezza di questo fresco alimento.

Il gelato, infatti, è prodotto e commercializzato a temperature molto basse costanti che di fatto bloccano la riproduzione di germi patogeni, la sicurezza inoltre, specie in riferimento a quelle gelaterie che non utilizzano prodotti industriali, è garantita dalla pastorizzazione della miscela, prima che quest’ultima sia lavorata.

Una certa accortezza bisogna avere altresì verso le vaschette di gelati industrialmente prodotti ed acquistate ai banchi freezer dei supermercati vari: dal momento dell’acquisto e durante il tragitto fino al congelatore domestico è fondamentale che il prodotto non si scongeli, che non si interrompa la catena del freddo e che, successivamente, venga scongelata la sola quantità  destinata al consumo immediato.

Vecchia è poi la questione sulla superiorità qualitativa  dell’artigianale o dell’industriale e tutti, con buona pace,  trovano un accordo nell’indicare  l’eccellenza nel primo a patto che nella produzione si usino unicamente prodotti  freschi, genuini e di qualità indiscutibile.

Il discorso in realtà non si limita ai due tipi di gelato, ma alla qualità del prodotto in sé e per sé e quindi alla filosofia di produzione adottata.
Il paragone non si riferisce tanto ai gelati alla crema, essendo il costo degli ingredienti, come latte e uova, quasi uguale dovunque, quanto ai    gelati prodotti con frutta secca, come nocciole del Piemonte o quelle di Giffoni o dell’avellinese, ed ancora noci, pistacchi, tutta frutta secca rigorosamente selezionata,   macinata, ridotta in  pasta e caratterizzata dai costi di acquisto molto alti.

 L’artigiano, pertanto, che opera una scelta qualitativa differenziando la sua gelateria da altre che producano a livelli di media o bassa qualità, per un gelato alla  autentica nocciola contenente il 30% di pasta di nocciola  investe economicamente il 50%  in più rispetto a gelati contenenti il 15% di pasta di nocciole di media o bassa qualità.

Il medesimo discorso si pone ovviamente anche per i gelati al pistacchio, alle noci e quindi non riguarda solo la singola  specialità ma la scelta di qualità  effettuata a monte dagli operatori del settore; e il discorso sul calo qualitativo non può non coinvolgere l’uso di altri ingredienti, quali oli o grassi vegetali idrogenati o parzialmente idrogenati, oppure di oli vegetali in quantità determinanti.

Valori nutrizionali | Il gelato è un alimento glucidico, molto digeribile, decisamente calorico, anche se connotato da un indice di sazietà abbastanza basso.

Tali caratteristiche, considerate sia singolarmente che nell’insieme, lo fanno classificare fra quella categoria di alimenti, il cui consumo va valutato attentamente. Se ne mangiano volentieri, spesso perdendo di vista il quantum, che è alquanto pesante negli effetti: due etti di gelato, cioè una semplice cestina, contengono dalle 300 alle 500 calorie: un pasto o quasi.

Ad evitare sgradevoli sorprese dal punto di vista ponderale e della circonferenza del giro-vita pertanto, e senza minimamente patire la fame, potrebbe essere accettabile l’idea di consumare un pasto ipocalorico a base di proteine, comprendente, per puro esempio, 150 gr. di carne oppure pesce con contorno di insalata, concludendo con una leccornia di gelato del gusto preferito.

Di seguito la tabella dei valori nutrizionali relativa ai principali tipi di gelato, peraltro non sempre esposta in tutte le gelaterie, dal momento che la normativa vigente non pone come obbligatoria  l’indicazione delle calorie e dei valori nutrizionali.

I prodotti presi in considerazione sono per campioni di 100 grammi:

Buon gelato a tutti: nutre, disseta, rinfresca, è gradito all’occhio, alla tasca e al palato!

Fonte Paginemediche.it

 

ECO 3D – L’ecografia tridimensionale in gravidanza: un’emozione unica!

Dopo le grandi scoperte nel campo diagnostico del secolo scorso, anche il nuovo millennio sta offrendo alle future mamme e papà in dolce attesa attraenti modalità per conoscere in anteprima il proprio bambino.

Già l’ecografia tradizionale (figura 1), grazie al costante miglioramento della tecnologia e all’impiego di apparecchiature ad alta definizione, aveva dato modo ai genitori di cogliere immagini significative del profilo, degli arti o di altre parti del corpo del proprio bebè. Negli ultimi decenni abbiamo così potuto fornire in anteprima visioni di “sbadigli”, “singhiozzi” e “saluti” o sequenze di bambini che si succhiano il dito, anche se per le mamme e i papà queste immagini erano spesso frutto di una commistione tra realtà e fantasia.

Ma ciò non è bastato! Ecco allora che, dopo circa 10 anni di “tentativi”, finalmente oggi è disponibile una metodica di ecografia tridimensionale accessibile a tutti, medici e utenti! Confidenzialmente la chiameremo 3D. Questa nasce dall’integrazione tra il principio dell’ecografia bidimensionale basata sull’acquisizione di piani di sezione ottenuti con gli ultrasuoni secondo assi trasversali, longitudinali e obliqui, e la ricostruzione tridimensionale computerizzata (figura 2) dell’organo da studiare, di alcuni distretti anatomici o del feto in toto. Quando si avvia il modulo tridimensionale la sonda, tenuta ferma sull’addome materno, acquisisce automaticamente le immagini.

La tecnica dell’esame

Modalità “Volume mode”

La 3D offre tre tipi di immagini. La prima (detta volume mode) è una specie di calco e fornisce una vera immagine tridimensionale del viso (vedi figura 3), delle mani o dei piedini, si tratta della lettura della superficie del corpo del bambino a contatto con il liquido amniotico. In ultima analisi fornisce una vera foto e, proprio come accade per la fotografia, è necessario che la posizione del soggetto sia favorevole, che non vi siano davanti ostacoli (mani, cordone, placenta) ma una buona falda di liquido amniotico e, soprattutto, che il bambino stia fermo. In una buona parte dei casi si possono ottenere immagini del viso con le sembianze “reali” del proprio bambino. L’esame può dare un’emozione molto forte che non tutti gradiscono poiché, a volte, può generare “distorsioni” rispetto alle aspettative dei futuri genitori che, in qualche modo, avevano già immaginato il proprio bambino. Questa modalità, comunque, può essere di notevole aiuto diagnostico per il medico. Permette di escludere alcune anomalie del viso o di altri distretti corporei e contribuisce a migliorare l’impiego dell’ecografia per lo screening delle malattie cromosomiche e genetiche.

Modalità multiplanare

La seconda modalità (multiplanare), è molto più utile dal punto di vista clinico; partendo dal volume acquisito con la sonda tridimensionale consente di studiare qualsiasi piano di sezione indipendentemente dalla posizione del feto. È così possibile ottenere più facilmente piani longitudinali e trasversali ma, soprattutto, sezioni coronali che l’ecografia tradizionale spesso non è in grado di conseguire. Una volta ottenuto il volume, con comandi molto semplici, si possono visualizzare i vari piani e studiare nel dettaglio i particolari utili ai fini di una diagnosi. In ultima analisi si tratta di una vera e propria TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) ottenuta con gli ultrasuoni e non con i raggi X.

Modalità trasparente

La terza modalità (trasparente), di grande ausilio diagnostico in alcuni casi, offre la visione della struttura e della posizione degli organi interni attraverso la superficie corporea con una modalità simile alle radiografie standard.

 

 

A cosa serve l’Eco 3D e quali sono i limiti

Grazie all’ecografia tridimensionale è oggi possibile diagnosticare alcune malformazioni fetali che potrebbero sfuggire con l’ecografia tradizionale: difetti del viso, delle mani, dei piedi, della colonna vertebrale e del cuore.
È assolutamente necessario concludere questa breve presentazione della 3D con alcune precisazioni utili sia ai medici che ai futuri genitori. L’ecografia tridimensionale non può essere assolutamente eseguita come esame di routine.
È opportuno che lo specialista acquisisca prima con la tecnologia classica tutti gli elementi biometrici e morfologici del feto e fornisca alle coppie la “certezza” che il bambino sia sano. Solo in casi specifici avvierà l’esame tridimensionale come ausilio o completamento di quello bidimensionale, cioè solo quando si rendesse necessario per dirimere dubbi o confermare sospetti diagnostici. Quando, invece, l’esame viene richiesto delle coppie solo per “vedere” il proprio bambino, è assolutamente necessario che l’ecografista precisi e sottolinei prima in modo chiaro i limiti della metodica, cioè che esiste la possibilità di non ottenere immagini accattivanti e che, a volte, gli artefatti tecnici possono dare false visioni di anomalie inesistenti. L’ecogenicità del soggetto, come per tutte le altre ecografie, influenza notevolmente l’esito “spettacolare” dell’esame che si svolge con le stesse modalità di quello standard. L’unico fastidio per la donna è rappresentato da una modesta vibrazione della sonda. In considerazione degli alti costi delle apparecchiature e della lunghezza dell’esame, talvolta sarebbe opportuno eseguirlo in un altro momento, pertanto potrà essere richiesto alla donna di ritornare per una seduta dedicata.

Noi da qualche settimana stiamo utilizzando l’ecografia tridimensionale di ALOKA (alfa7) e tutti (medici, mamme e papà) siamo stati pervasi da un nuovo entusiasmo, simile a quello che provammo quando i primi ecografi fecero il loro ingresso nella pratica clinica e aprirono una finestra su un mondo misterioso e affascinante, fino ad allora sconosciuto. Da quei tempi ci sono stati notevoli progressi tecnologici ma, prima di fare voli pindarici, abbiamo il dovere di porci alcune domande. Il pianto, il sorriso, gli sbadigli e le smorfie che i bambini ci mostreranno dal loro ambiente sommerso saranno davvero utili per migliorare la diagnostica prenatale? Le espressioni così precocemente “rubate” ai nostri bambini serviranno davvero agli psicologi per capire di più della psiche umana? Noi ne siamo convinti ma riteniamo che ci debba essere molta prudenza affinché questo potente mezzo diagnostico non si trasformi in uno nuovo e “divertente” elemento mediatico!

Vertigini e capogiri: come riconoscerli? L’esperto risponde

Può durare minuti, secondi, ore. Può essere forte e violenta, oppure persistente e ingravescente e, a differenza di ciò che comunemente si crede, tanto più è violenta, tanto migliore sarà la prognosi. Si tratta della vertigine, un disturbo dell’equilibrio che può portare senso di sbandamento e instabilità, ma anche disorientamento, nausea e vomito. Diverse la cause, dai calcoli nell’orecchio, alla circolazione sanguigna, alle infezioni. Ce ne parla Leo Di Bartolo, medico Otorinolaringoiatra, esperto in Vestibologia, nostro Ospite in GALENOsalute.

Comunemente si dice “mi gira la testa”: “Può certamente trattarsi di vertigine, ma può trattarsi anche di instabilità, sbandamenti e disorientamento”, spiega l’esperto. Per capire se si tratta di vera vertigine, cioè di sensazione di movimento rotatorio dell’ambiente, “è opportuno osservare quanto dura il giramento di testa, se ci sono altri sintomi – nausea, vomito, pallore, sudorazione, ipoacusia, ronzio auricolare, parestesia – oppure condizioni scatenanti, come un movimento della testa o del corpo, un`infezione, un trauma”.

Differentemente da ciò che si è portati a pensare, “tanto più la vertigine è forte e violenta, tanto migliore sarà la prognosi, poiché la causa va cercata a livello dell’orecchio interno”, continua Di Bartolo. Se, invece, il disturbo dell’equilibrio è persistente e ingravescente, “bisogna pensare o all’esito di un danno cranico dell’orecchio interno, o a una patologia del sistema nervoso centrale, o a un disturbo psichico”.

Se la vertigine dura alcuni secondi. Se la vertigine dura alcuni secondi – in genere tra i 20 e i 30 – ed è scatenata da un movimento della testa, “si tratta di una vertigine posizionale causata dalla presenza di un otolita, comunemente conosciuto come calcolo, presente in uno o più canali semicircolari del labirinto dell’orecchio”. Come si risolve? “In questo caso è sufficiente che il medico esegua dei rapidi movimenti per spostare l’otolite dal canale semicircolare, risolvendo così la vertigine”.

Se la vertigine dura minuti. Se dura alcuni minuti “è opportuno verificare le condizioni della circolazione sanguigna cerebrale e le condizioni cardiache – continua l’esperto – poiché è in queste sedi che è possibile trovare la causa della vertigine”.

Se la vertigine dura alcune ore. Una vertigine che dura alcune ore è causata da un aumento del liquido (endolinfa) dell’orecchio interno. In questo caso, “potrebbe trattarsi della malattia di Meniere o di una sua forma parziale o iniziale”, spiega l’esperto.

Una vertigine che dura più di 24 ore. Una vertigine che dura più di 24 ore “è determinata da una neurolabirintite: in questo caso le cause possono essere virali o vascolari”. Il consiglio? In ogni caso, rivolgersi al proprio medico ed evitare cure fai-da-te.

Malattie fegato: test sangue sostituisce Biopsia

biopsia epaticaFino a oggi era l’esame più sicuro anche se spesso molto fastidioso per il paziente: la biopsia epatica, una tecnica invasiva per estrarre cellule direttamente dal fegato.

Oggi esiste un’alternativa rappresentata da FibroTest, che con un semplice prelievo di sangue consente di diagnosticare con precisione il danno epatico.

Il FibroTest è stato validato da un recente studio multicentrico internazionale pubblicato nella rivista scientifica Hepatology il cui coordinatore è un italiano, il professor Alfredo Alberti, Ordinario di Gastroenterologia, dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Università di Padova.

Condotto su più di 2.000 pazienti con epatite C in nove centri europei e statunitensi, gli autori hanno osservato che con questo test non invasivo si siano evitate biopsie nel 46,5%e nell’81,5% rispettivamente in presenza di fibrosi e di cirrosi.

“Con un prelievo di sangue – spiega la dottoressa Giada Sebastiani dell’Unità di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Clinica dell’Ospedale dell’Angelo, Venezia, primo autore dello studio – vengono determinati i valori di alcuni parametri che dopo l’elaborazione forniscono lo stato della malattia epatica. Dalla loro valutazione lo specialista epatologo/gastro-enterologo potrà decidere se eseguire la biopsia o ulteriori esami del sangue”

L’approccio che gli autori dello studio pubblicato nella rivista Hepatology chiamano ‘SAFE BIOPSY’, permette di ridurre il numero di biopsie epatiche e, insieme al FibroTest, consente di definire lo stadio della fibrosi epatica.

Quello citato non è l’unico studio che dimostra l’importanza del FibroTest per valutare il grado di fibrosi, altri studi internazionali recentemente pubblicati lo hanno considerato una valida alternativa alla biopsia.

La biopsia epatica, ancora considerata lo standard di valutazione della malattia epatica, non può essere eseguita troppo frequentemente per le complicazioni soprattutto emorragiche nei pazienti che già presentano una patologia avanzata.

In Italia sono 58.000 i casi di cirrosi diagnosticati ogni anno e il carcinoma epatico, che spesso ne deriva, è causa di morte nel 3% della popolazione.

Il FibroTest è disponibile a pagamento su richiesta dello specialista in laboratori analisi in tutto il territorio nazionale. E’ distribuito in Italia da Ibi-Lorenzini, su licenza esclusiva della francese BioPredictive.

Mammografia

mammografiaChe cos’è | La mammografia (più propriamente detta mastografia) è un esame radiografico che permette una diagnosi molto attendibile e dà la possibilità, quindi, al medico di segnalare la presenza di tumori mammari non ancora palpabili. Per coloro che temono, giustamente, l’effetto negativo delle radiazioni ionizzanti, c’è da dire che le apparecchiature moderne, utilizzando bassi dosaggi di raggi X, consentono, senza rischi, la ripetizione routinaria dell’esame.

A che serve | La maggioranza dei noduli mammari sono tumori benigni: in genere si tratta di cisti oppure di fibroadenomi che possono essere curati senza pericoli per la vita della paziente. Il cancro della mammella, invece, in Italia è considerato il più frequente tumore maligno della donna e sono segnalati 30.000 nuovi casi ogni anno. Colpisce in prevalenza donne di età compresa tra i 45 e 65 anni. Per la diagnosi precoce, l’esame clinico non è da solo, un test efficace; occorre eseguire anche una mammografia ed una ecografia. Riconoscere in tempo una neoplasia significa anche togliere il tumore e non la mammella. Nell’ambito della diagnosi precoce la mammografia rappresenta il miglior mezzo disponibile per la diagnosi del carcinoma della mammella ed è l’unico test che può ridurre in modo significativo il numero di morti per questa neoplasia. Non è in grado, ovviamente, di riconoscere la totalità delle lesioni neoplastiche mammarie: nelle casistiche si riporta dal 10 al 20% di tumori non diagnosticati. I limiti della mammografia sono particolarmente evidenti nelle donne con una ghiandola mammaria di elevata radiopacità (fatto che implica la produzione di lastre radiografiche non facilmente leggibili).

Cosa devo sapere | Per sottoporsi alla mammografia non occorre alcuna preparazione prima dell’esame. Nelle donne fertili, è consigliato eseguire l’esame nella prima metà del ciclo, periodo in cui il seno è meno teso (e quindi più facilmente comprimibile) ed in cui è possibile escludere una eventuale gravidanza. È bene ricordarsi che per il radiologo è importante avere termini di paragone con eventuali altre indagini effettuate, pertanto, è buona norma portare con sé tutta la documentazione relativa ad indagini diagnostiche senologiche eseguite in precedenza.

Come si svolge | L’esame si effettua tramite il mammografo. La mammella viene posizionata su di un sostegno e compressa mediante un piatto in materiale plastico. La compressione del seno è fondamentale per una buona esecuzione dell’esame. L’esposizione alle radiazioni dura pochissimi secondi. Introdotto negli anni ’60, il mammografo, grazie soprattutto agli studi di C. Gros, ebbe subito un clamoroso successo in medicina. Attualmente sono disponibili, anche se poco diffusi per gli alti costi, i mammografi digitali che utilizzano, al posto della pellicola radiografica, un detettore che assorbe i raggi X filtrati dalla mammella e li converte in segnali elettronici. Tali segnali, oltre a poter essere memorizzati sui vari supporti magnetici o digitali utilizzati in informatica, possono essere facilmente manipolati e permettono di modificare parametri come la luminosità ed il contrasto dell’immagine, facilitando notevolmente l’individuazione di eventuali mastopatie, senza impiegare ulteriori radiazioni per ottenere l’immagine desiderata.

Limiti della mammografia | La mammografia è l’esame più importante per la diagnosi del carcinoma della mammella. Tuttavia la metodica, sebbene notevolmente perfezionata nel corso degli anni, non è in grado di riconoscere la totalità delle lesioni neoplastiche mammarie: nelle casistiche più recenti si riporta dal 10 al 20% di tumori non diagnosticati con la mammografia; le cause possono essere relative al tumore stesso (troppo basso contrasto intrinseco nei confronti dei tessuti circostanti), alla scarsa qualità della mammografia, al mancato riconoscimento da parte del radiologo. I limiti della mammografia sono particolarmente gravi nelle donne con un seno cosiddetto “denso”, nelle quali la presenza di una ghiandola mammaria di elevata radiopacità impedisce uno studio adeguato e rende difficoltoso, se non impossibile, il riconoscimento dei segni radiologici del tumore.

Massaggi rilassanti: sale la serotonina, scende il cortisolo

massaggioProgrammare un massaggio. Un pò di coccole possono strofinare il livello di stress nel modo migliore, fino a far abbassare del 31% il livello di cortisolo. In base a diversi studi, tra cui quello condotto dalla Facoltà di Medicina dell’Università di Miami in Florida (Stati Uniti), già dopo poche settimane di massaggi i livelli di cortisolo diminuiscono, in media, di quasi un terzo. Oltre a tenere sotto controllo il cortisolo, le sessioni di massaggi promuovono la produzione di dopamina e serotonina, gli ormoni responsabili del “sentirsi bene”, normalmente rilasciati dall’organismo quando si socializza con qualcuno o si fa qualcosa di divertente.

da GALENOsalute lo shiatsu professionale …

Massaggi low-cost: non solo i muscoli, anche la pelle rischia

massaggioOli, pomate e creme di ignota provenienza: sono questi gli “strumenti da lavoro” dei massaggiatori abusivi che affollano le spiagge. Una pratica recentemente vietato dal ministero della Salute, ma che ancora sembra avere un certo successo tra i bagnanti in cerca di relax.

“Eppure i rischi per la pelle sono davvero molti – avverte Giovanni Leone, direttore del servizio di fototerapia dell’Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma – tra cui infezioni da funghi, batteri, irritazioni e fotodermatiti”. Conseguenze, la maggior parte delle volte, da imputare all`assenza di igiene delle mani degli ambulanti. Ma non solo: “I prodotti utilizzati per questo tipo di manipolazione, ricchi di estratti vegetali antinfiammatori e miorilassanti, possono generare reazioni allergiche e fotosensibilizzare la pelle esposta ai raggi solari, causando in alcuni casi anche gravi e fastidiose dermatiti”.

E se durante il massaggio si entra in contatto con piccole ferite o lesioni, “si va incontro a conseguenze di non poco conto, come le piodermatiti, cioè la fuoriuscita di pustole accompagnate da pus, prurito, dolore e arrossamento”. Il consiglio, conclude l’esperto, “è di non di cadere in tentazione e di rinunciare a un finto relax. Per rilassarsi davvero, è sempre meglio mettersi nelle mani di professionisti”.

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