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La melatonina migliora la qualità della vita

Sul mercato integratori per contrastare i disturbi del sonno e dell’invecchiamento.

Cari Amici,

ci perviene questo articolo che Vi propongo integralmente e senza commenti, lasciando a Voi le critiche o gli apprezzamenti come è mio solito. Il testo di questo articolo è informativo-pubblicitario, è deve pertanto essere criticamente letto, non prendendo per “oro colato” tutto quello che illustra. Lascio quindi a Voi le informazioni e le indicazioni pubblicitarie, dichiarando di non avere conflitto di interesse.

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Naturalmente presente nell’organismo, la melatonina è una sostanza antiossidante che gioca un ruolo fisiologico nella regolazione dei bioritmi corporei, come il ciclo sonno-veglia.

Infatti la melatonina ha un effetto sedativo: viene usata dal cervello per informare l’organismo che è buio e che è quindi giunto il momento di dormire.

Il sonno rappresenta una fase necessaria per l’organismo e soffrire di disturbi quali l’insonnia può portare a squilibri ed ansie, diventando quindi fonte di stress e nervosismo.

Succede spesso che l’insonnia si acuisca durante la fase di invecchiamento: studi dimostrano una connessione tra questo tipo di disturbo e la diminuzione fisiologica con il passare degli anni della produzione di melatonina da parte dell’organismo.

Oggi nel mercato farmaceutico esistono prodotti che possono colmare questo tipo di carenza. Tra questi MELATONINA SIRC è la prima linea di integratori certificati in Italia e può costituire la giusta risposta a questo tipo di problemi.

L’idea innovativa di Sofar, la casa produttrice di Melatonina Sirc, è stata quella di veicolare la melatonina in diverse tipologie di prodotto, adatte a svariate necessità e alle preferenze individuali.

Oltre ad essere integrati con sostanze antiossidanti, anti invecchiamento e antidepressive, come il Triptofano e la Vitamina B6 (che regolano la produzione di Serotonina, che regola a sua volta l’umore), i prodotti Melatonina Sirc sono sul mercato sotto forma di tisane, gocce o compresse, adatte a varie esigenze e gusti.

Ad esempio, la tisana RELAX è riposante e utile a scaricare lo stress della giornata, idrosolubile e arricchita allo zinco, abbinata ad un gusto classico o ai frutti. Anche la posologia è differenziata, a seconda della gravità del disturbo abbiamo MELATONINA SIRC DIET, da 3 mg, da assumere una volta al giorno prima di andare a letto, o all’occorrenza. Mentre per i disturbi del sonno più fastidiosi e frequenti, MELATONINA SIRC FORTE, da 5 mg, pre-tagliata per una posologia personalizzata.

MELATONINA SIRC è un aiuto naturale anche per la menopausa, alleviando i disturbi e i malesseri propri di questa fase della vita femminile: per questo è stata messa a punto la linea LADY, in compresse da 5mg, arricchite con Isoflavoni di Soia e vitamina B6.

I disturbi del sonno non sono solo legati allo stress o all’invecchiamento. Basti pensare al jet-lag, la cosiddetta “sindrome da fuso orario”, che manifesta i suoi effetti con disturbi del sonno, mancanza di appetito, nervosismo e difficoltà digestive. L’efficacia della melatonina per la cura del jet-lag è ampiamente provata. Per chi è sempre in viaggio e ha necessità di avere degli effetti immediati è stata ideata MELATONINA SIRC ISTANT, in compresse da lasciare sciogliere sotto la lingua.

Melatonina sirc con la sua gamma completa (compresse, compresse orosolubili, tisane e gocce), è priva di effetti collaterali, garantita dalla vendita solo ed esclusiva in farmacia ed è la prima melatonina in forma di integratore alimentare.

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Per ulteriori informazioni visitare il sito http://www.melatoninasirc.it/

Dormire di più nel weekend “ricarica” il cervello

Il lunedì mattina è meno ‘nero’ se il fine settimana sono stati fatti gli ‘straordinari’ di sonno. Un gruppo di ricercatori della Division of Sleep and Chronobiology della Università di Pennsylvania ha scoperto che una dose extra di sonno dona al cervello piu’ energia per affrontare una nuova settimana lavorativa. Le performance di chi ha passato meno tempo a ‘poltrire’ durante il fine settimana sono piu’ basse rispetto a chi ha approfittato dei due giorni di libertà per riposarsi. Secondo lo studio pubblicato sulla rivista ‘Sleep‘, dieci ore di sonno potrebbero essere insufficienti a ricarburare, figuriamoci se si rimane svegli di notte per via di una festa durante il weekend. “Un’ora o due in piu’ di sonno al mattino – ha spiegato David Dinges, che ha coordinato lo studio – dopo un periodo di perdita parziale di sonno ha un reale vantaggio per recuperare le forze e l’energia”. Un recupero adeguato, ha continuato l’esperto, “è importante per far fronte agli effetti della riduzione cronica di sonno sul cervello”. Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno condotto un esperimento di privazione del sonno su 159 adulti sani con un’eta’ media di 30 anni. Dopo due notti con 10 ore di sonno, a 142 soggetti è stato poi permesso di dormire solo quattro ore, dalle 4 alle 8, per cinque notti consecutive. Altri 17 adulti hanno invece dormito 10 ore tutte le notti. A tutti i partecipanti all’esperimento e’ stato quindi chiesto di compilare un modulo computerizzato 30 minuti dopo essersi svegliati. Ebbene, dai risultati è emerso che i soggetti cui erano state limitate le ore di sonno avevano minori capacita’ d concentrazione, difficoltà d’attenzione e tempi di reazione molto ridotti. Inoltre, le normali funzioni sono state ripristinate solo dopo una lunga notte di sonno.

Insonnia e dolore

L’insonnia come manifestazione di una condizione medica | La Classificazione Internazionale dei Disordini del Sonno [1] prevede una diagnosi di “insonnia dovuta a una condizione medica” che racchiude un gruppo eterogeneo e ampio di condizioni mediche nell’ambito delle quali l’insonnia è un sintomo frequente e importante. Per questi motivi, le caratteristiche di questa insonnia non sembrano essere specifiche ma ricalcano quelle generali di questo disturbo: difficoltà di addormentamento, frequenti risvegli notturni, risveglio precoce con impossibilità a riaddormentarsi, sonno non ristoratore e conseguenze sulle performance diurne. I criteri diagnostici, per questo tipo d’insonnia sono:

  1. I sintomi presentati dal paziente soddisfano i criteri per la diagnosi d’insonnia.
  2. L’insonnia perdura da almeno un mese.
  3. Il paziente ha una condizione medica o fisiologica che è nota essere disturbante per il sonno.
  4. L’insonnia è chiaramente associata alla condizione medica o fisiologica. L’insonnia è iniziata all’incirca in concomitanza con la condizione medica o fisiologica o è correlata a un suo peggioramento clinico significativo o varia di intensità in accordo con le fluttuazioni cliniche della condizione medica o fisiologica.
  5. Il disturbo del sonno non può essere spiegato meglio da un altro disordine del sonno, mentale o uso di farmaci o sostanze.

Un posto importante, tra le insonnie dovute a una condizione medica, spetta all’insonnia causata dal dolore | E’ facile comprendere come qualsiasi disturbo che provochi dolore sia potenzialmente in grado, qualora il dolore persista di notte, di disturbare il sonno in modo significativo e indurre una insonnia. Tuttavia bisogna ricordare che, come dettagliato nei criteri per la diagnosi d’insonnia da condizione medica, è necessario che il disturbo perduri da almeno un mese per poter parlare di una vera insonnia. Quindi, pur essendo il disturbo del sonno frequente in qualsiasi sindrome dolorosa, esso può assumere spesso un carattere transitorio, correlato alla durata della sindrome dolorosa e non richiedere un’attenzione particolare in quanto sappiamo che l’insonnia scomparirà con la regressione del dolore (ad esempio, in un caso di mal di denti, prima di ricorrere al dentista o a un’adeguata terapia farmacologica). Diversi e molto più importanti sono i problemi posti dal dolore cronico che spesso viene accompagnato da insonnia. Per questi motivi, la letteratura scientifica si è occupata in modo particolare di queste condizioni in cui la durata della sindrome dolorosa è prolungata e spesso accompagna il soggetto per tutto il resto della vita. E’ anche interessante notare come tra tutte le condizioni mediche, il dolore cronico è il disturbo più frequentemente accompagnato da insonnia. Taylor et al. [2] hanno riportato che il dolore cronico era presente nel 50.4% dei pazienti con insonnia, contro il 18.2% di quelli senza insonnia; questa percentuale era più alta di quella dell’ipertensione (43.1% contro 18.7%), problemi gastrointestinali (33.6% contro 9.2%), disordini del respiro (24.8% contro 5.7%), cardiopatia (21.9% contro 9.5%), problemi urinari (19.7% contro 9.5%), e malattie neurologiche (7.3% contro 1.2%). Esaminiamo qui di seguito, come esempi, alcune delle più importanti condizioni che causano dolore cronico e insonnia.

La fibromialgia | Secondo l’American College of Rheumatology [3], la fibromialgia è un dolore diffuso che dura da almeno 3 mesi che si manifesta in combinazione con dolore ad almeno 11 di 18 punti specifici di sensibilità sul corpo. Molte persone con fibromialgia hanno comorbidità psichiatrica, con sintomi di depressione e ansia. Inoltre, i disturbi del sonno sono riportati molto frequentemente da questi pazienti, con difficoltà ad addormentarsi e a mantenere il sonno. Tuttavia, il problema più importante è la sensazione di stanchezza al risveglio che causa le conseguenze più pesanti per il paziente [4,5]. E’ comunque interessante notare come uno studio polisonnografico, cioè oggettivo, del sonno non sia riuscito a mostrare sostanziali differenze tra pazienti con fibromialgia e controlli normali, se non nei parametri di variabilità della frequenza cardiaca che indicavano un incremento dell’attività simpatica e una diminuzione della complessità della funzione autonomica [6]. Una caratteristica dell’EEG del sonno di questi pazienti è un’importante intrusione di attività alfa all’interno dei ritmi lenti delta del sonno nonREM [7], chiamata pattern alfa-delta. L’attività alfa-delta è accompagnata anche da una riduzione dei fusi del sonno nonREM [8] e probabilmente correla significativamente con i sintomi della fibromialgia [9]. Pertanto, appare sempre più evidente che esiste un’anomalia della microstruttura del sonno in questi pazienti e questa ipotesi è stata confermata dallo studio di Rizzi et al. [10] sul “cyclic alternating pattern”, un tipo di analisi che valuta con precisione i brevi e numerosi eventi neurofisiologici che caratterizzano la microstruttura del sonno nREM.

La ricerca epidemiologica ha mostrato che i disordini del sonno sono associati a cefalea più frequente e grave | E’ noto da tempo che il sonno sia in grado sia di provocare che di dare sollievo alla cefalea e l’epidemiologia ci suggerisce che i disordini del sonno sono associati a cefalea più frequente e grave. L’insonnia, i disturbi del respiro in sonno, i disordini del ritmo circadiano e le parasonnie sono i disturbi del sonno più frequentemente associati a cefalea [11, 12]. Un esempio importante è la cefalea presentata dai soggetti con apnee del sonno che regredisce con la correzione del disturbo del respiro in sonno. Oltre all’associazione con i disturbi del sonno, alcuni tipi specifici di cefalea, come l’emicrania, la cefalea muscolo-tensiva e quella a grappolo, mostrano un chiaro pattern crono biologico correlato anche ai processi del sonno; probabilmente questo è dovuto a strutture neuro anatomiche e processi neurochimici comuni coinvolti nella regolazione del sonno e nel determinismo della sintomatologia algica del capo. E’ opportuno ricordare che la Classificazione Internazionale dei Disordini del Sonno [1] comprende una diagnosi di “cefalea correlata al sonno”, anche nota come cefalea ipnica, che include un gruppo molto eterogeneo di sindromi algiche del capo che hanno l’unica caratteristica comune di verificarsi prevalentemente durante sonno o al risveglio. E’ molto probabile che ognuna delle condizioni comprese da questa diagnosi generica sia sovrapponibile alla stessa forma che si verifica di giorno e che quindi non si tratti di forme specifiche.

Tutti questi dati portano alla raccomandazione per gli esperti che curano pazienti con cefalea o emicrania di valutare attentamente il pattern ipnico dei pazienti per identificare e trattare adeguatamente i loro disordini.

L’insonnia in oncologia | La difficoltà di addormentamento e di mantenimento del sonno, la bassa efficienza di sonno, il risveglio precoce e l’eccessiva sonnolenza diurna sono disturbi molto frequenti nel paziente oncologico. E’ pure molto frequente la cronicizzazione di questi problemi che possono persistere anche per mesi o anni dopo la fine del trattamento antiblastico [13]. I fattori che possono influenzare il sonno di questi pazienti sono molteplici, come le alterazioni biochimiche indotte dalla proliferazione neoplastica e dai trattamenti antineoplastici, ma anche la presenza di dolore, deperimento e depressione sono altrettanto importanti. Il trattamento dell’insonnia in questi pazienti può essere importante per la possibilità di migliorarne la qualità di vita ma è spesso complesso per la necessità di considerare una serie di fattori interferenti correlati al trattamento della patologia di base. Il trattamento dell’insonnia può avere una grande importanza anche nella strategia palliativa per i malati terminali.

Curare l’insonnia potrebbe migliorare la sindrome dolorosa? | Il trattamento dell’insonnia nelle sindromi dolorose si basa prima di tutto, ove possibile, sul trattamento della sintomatologia algica; tuttavia, esistono situazioni in cui il controllo del dolore non può essere raggiunto o non è in grado di ripristinare il pattern normale di sonno. D’altra parte, il trattamento dell’insonnia potrebbe avere effetti positivi sulla comorbidità. Infatti, se da un lato è noto che la presenza d’insonnia può esacerbare il dolore, è logico pensare che una terapia efficace dell’insonnia sia potenzialmente in grado di attenuare la sintomatologia dolorosa. A questo scopo è possibile ipotizzare l’uso di strategie farmacologiche e non farmacologiche (terapia cognitivo-comportamentale), o una combinazione di queste. Tuttavia, non esistono dati sufficienti in letteratura per rispondere in modo sicuro al quesito e sono necessari studi e approfondimenti che probabilmente vedremo in un futuro vicino [14].

Bibliografia

  1. American Academy of Sleep Medicine. International Classification of Sleep Disorders, 2nd ed.: Diagnostic and Coding Manual. American Academy of Sleep Medicine. Westchester, Illinois, 2005.
  2. Comorbidity of chronic insomnia with medical problems. Taylor DJ, Mallory LJ, Lichstein KL, Durrence HH, Riedel BW, Bush AJ. Sleep. 2007;30(2):213-218.
  3. The American College of Rheumatology 1990 criteria for the classification of fibromyalgia: report of the Multicenter Criteria Committee. Wolfe F, Smythe HA, Yunus MB, et al.  
    Arthritis Rheum 1990;33:160-172.
  4. Prevalence and correlates of nonrestorative sleep complaints. Ohayon MM. Arch Intern Med 2005;165:35-41.
  5. The significance, assessment, and management of nonrestorative sleep in fibromyalgia syndrome. Moldofsky H. CNS Spectr 2008;13(Suppl 5):22-26.
  6. Objective measures of disordered sleep in fibromyalgia. Chervin RD, Teodorescu M, Kushwaha R, Deline AM, Brucksch CB, Ribbens-Grimm C, Ruzicka DL, Stein PK, Clauw DJ, Crofford LJ.
    J Rheumatol 2009;36:2009-2016.
  7. Musculosketal symptoms and non-REM sleep disturbance in patients with ”fibrositis syndrome” and healthy subjects. Moldofsky H, Scarisbrick P, England R, et al. Psychosom Med 1975;37:341-351.
  8. Decreased sleep spindles and spindle activity in midlife women with fibromyalgia and pain. Landis CA, Lentz MJ, Rothermel J, et al.  Sleep 2004;27:741-750.
  9. Alpha sleep characteristics in fibromyalgia. Roizenblatt S, Moldofsky H, Benedito-Silva AA, et al.  Arthritis Rheum 2001;44:222-230.
  10. Cyclic alternating pattern: a new marker of sleep alteration in patients with fibromyalgia? Rizzi M, Sarzi-Puttini P, Atzeni F, et al. J Rheumatol 2004;31:1193-1199.
  11. Sleep and headaches. Rains JC, Poceta JS, Penzien DB. Curr Neurol Neurosci Rep 2008;8:167-175.
  12. Headache and sleep. Alberti A.  Sleep Med Rev 2006;10:431-437.
  13. Cancer-related fatigue and sleep disorders. Roscoe JA, Kaufman ME, Matteson-Rusby SE, Palesh OG, Ryan JL, Kohli S, Perlis ML, Morrow GR.  Oncologist 2007;12 (Suppl 1):35-42.
  14. Does effective management of sleep disorders improve pain symptoms? Roehrs TA, Workshop Participants. Drugs 2009;69 (Suppl 2):5-11. 

Depositato all’AIFA in data 07/03/2010 – autore dott. Raffaele Ferri – Centro per lo Studio del Sonno e dei suoi Disturbi, Dipartimento per l’Involuzione Cerebrale, IRCCS Oasi “Maria SS”, Troina (EN).

Nel sonno il segreto per dimagrire!!

Se pensate al letto come sinonimo di pigrizia e quindi ostacolo per il dimagrimento, sbagliate di grosso. È ormai una realtà scientifica il rapporto fra metabolismo e ciclo naturale del sonno e della veglia, più precisamente fra gli ormoni e le fasi cerebrali. Una quantità di ricerche hanno stabilito una relazione tra la quantità e la qualità del sonno da una parte, e l’indice di massa corporea dall’altra. Sulla rivista specializzata Obesity, la ricercatrice Deanna Arble, che lavora per il Centro del sonno e della biologia circadiana della Northwestern University in Illinois, ha pubblicato uno studio che mette in luce dati interessanti. Analizzando topi da laboratorio, la dott.ssa Arble ha scoperto che una dieta ricca di grassi aumenta il peso in percentuali diverse a seconda dell’ora in cui vengono somministrati gli alimenti. Se durante gli orari diurni il peso sale del 20 per cento, gli stessi alimenti proposti ai topi durante le ore notturne produce un aumento di peso pari quasi al 50 per cento. Altri studi hanno ricavato dati coerenti con lo studio della Arble, anche se relativi alla possibilità di sviluppare il diabete. Secondo una ricerca dell’Università di Chicago, le persone sane costrette a un ritmo di vita che prevede soltanto cinque ore di sonno al giorno perdono progressivamente la sensibilità al glucosio, il che le predispone appunto al diabete, oltre che all’obesità. Un’altra ricerca, stavolta canadese, ha individuato nel cattivo funzionamento della melatonina, l’ormone che regola il rapporto fra le fasi di sonno e di veglia, un aumento del 20 per cento del rischio di insorgenza della malattia. Secondo la dott.ssa Arble, quindi, le prove di una profonda influenza dei ritmi circadiani – ovvero il ciclo dei processi fisiologici di un essere vivente nell’arco di 24 ore – sul metabolismo umano sono indubitabili: “tutti i principali elementi chiamati in causa nella regolazione del peso e dell’appetito sono influenzati dall’alternanza di sonno e veglia e hanno un andamento fluttuante nell’arco della giornata: il metabolismo dell’insulina, la funzionalità della leptina (l’ormone della sazietà), la regolazione della temperatura e molto altro. E questo significa che l’obesità può essere vista anche come una patologia derivante dalla perdita di armonia in questo delicato equilibrio”. A questo punto, quali potrebbero essere le strategie per riequilibrare questo rapporto? Al momento, non esistono farmaci in grado di regolare meccanismi tanto complessi e i medici suggeriscono pertanto di mettere in atto terapie comportamentali mirate, in poche parole di riprendere le vecchie e sane abitudini di una volta. La rivoluzione del tempo quotidiano indotta dalle nuove esigenze economiche che si sono presentate negli ultimi cento anni ha costretto il nostro organismo a far fronte a situazioni inedite. La mancanza del giusto riposo e la diminuzione complessiva delle ore di sonno sono andate di pari passo con l’aumento dei fenomeni di ipertensione, diabete, obesità, problemi cardiaci. Costretti a ritmi esasperati, la qualità della nostra vita peggiora e il nostro organismo alla fine presenta il proprio conto. Se si vuole veramente dimagrire, quindi, occorrerà che ognuno di noi operi una piccola rivoluzione nei comportamenti.

Fonte ITALIAsalute.it

Alzheimer, trovata una connessione con la deprivazione di sonno

Una sperimentazione sui topi ha mostrato che con la deprivazione cronica di sonno le placche tipiche della malattia di Alzheimer appaiono più precocemente e più spesso.

topoUna sperimentazione sui topi ha mostrato che con la deprivazione cronica di sonno le placche tipiche della malattia di Alzheimer appaiono più precocemente e più spesso. È quanto riportano i ricercatori della Washington University School of Medicine a St. Louis su Science Express, versione online della rivista Science. È ben noto agli specialisti del settore come la malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson spesso influiscano direttamente sul sonno. Questi nuovi risultati ribaltano in un certo senso la prospettiva, poiché corroborano l’ipotesi che la perdita di sonno possa rivestire un ruolo importante nella genesi di tali patologie. Il laboratorio di Holtzman ha utilizzato una tecnica chiamata microdialisi in vivo per monitorare i livelli della proteina beta amiloide nel cervello dei topi geneticamente modificati e sviluppare un modello animale della patologia di Alzheimer. Jae-Eun Kang, ricercatore del laboratorio, ha poi notato come i livelli di proteina beta amiloide variavano in funzione delle fasi di sonno e veglia, trovando che essi aumentavano di notte, quando i topi per lo più sono svegli, e diminuivano durante il giorno quando i topi per lo più dormono. Uno studio separato di Randall Bateman del Barnes-Jewish Hospital ha invece misurato i livelli di proteina beta amiloide nel fluido cerebrospinale di esseri umani, riscontrando in effetti come essi fossero generalmente più elevati durante la veglia e più bassi durante il sonno. Per confermare il legame, Kang ha utilizzato tecniche elettroencefalografiche (EEG) sui topi dello Sleep and Circadian Neurobiology Laboratory della Stanford University. I tracciati EEG hanno permesso di confermare ulteriormente la connessione. Stando ai risultati, la deprivazione di sonno è in grado di determinare un incremento della proteina beta amiloide del 25 per cento. Inoltre, bloccando la produzione di un ormone collegato allo stress non si ottengono effetti rilevanti, il che suggerisce che la correlazione tra la deprivazione di sonno e la proteina beta amiloide non è mediata dallo stress. Gli stessi studiosi hanno anche riscontrato come l’orexina, una proteina che partecipa ai meccanismi di regolazione del ciclo sonno/veglia, appaia direttamente coinvolta nell’incremento delle placche. “L’orexina o i composti con cui interagisce possono diventare nuovi bersagli per la terapia dell’Alzheimer”, ha spiegato David M. Holtzman, primo autore dell’articolo e direttore del Dipartimento di Neurologia della School of Medicine del Barnes-Jewish Hospital. “I risultati suggeriscono che occorre trattare i disturbi del sonno non solo per i loro molti effetti acuti ma anche per i potenziali effetti a lungo termine sulla salute del cervello”.

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Dimagrire aiuta a russare di meno

uomo che dormeSmettere di russare? Forse la dieta potrebbe essere una buona strategia: il sovrappeso aumenta infatti la probabilità di russare e di soffrire di apnee notturne. È quanto emerge dallo studio pubblicato su American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine dai ricercatori dell’Università di Helsinki, secondo cui seguire un’alimentazione moderata e fare esercizio fisico può ridurre l’insorgenza di questi disturbi del sonno. Chi soffre di apnea notturna tende a russare in modo piuttosto rumoroso e, a volte, smette di respirare per qualche secondo, fino a che si sveglia con una sensazione di soffocamento. Ciò comporta la ripetuta interruzione del sonno durante la notte e, anche se si tende a scordarlo, ci si sente poi affaticati durante il giorno. I trattamenti più utilizzati per porvi rimedio comportano l’uso di maschere e “boccagli” in grado di aiutare a respirare meglio, ma per molti risultano fastidiosi e, in ogni caso, alleviano i sintomi, ma non risolvono il problema. Anche essere in sovrappeso aumenta la possibilità di avere disturbi respiratori durante il sonno. Quando si è sdraiati, infatti, lo strato adiposo extra intorno al collo pesa sulla trachea schiacciandola e ostruendo il passaggio dell’aria. La ricerca è stata condotta su 72 persone in sovrappeso che soffrivano di apnea notturna, 35 delle quali sono state sottoposte ad una modifica del loro stile di vita e della loro dieta, mentre le altre hanno svolto la funzione di gruppo di controllo. Dopo 12 settimane, coloro che avevano seguito il regime alimentare prescritto e svolto gli esercizi fisici, avevano perso in media 10,7 kg e, una volta sottoposti ad analisi, è emerso che si svegliavano meno frequentemente e avevano migliori livelli di ossigeno nel sangue. Non è tutto: 6 su 10 non soffrivano più di apnee notturne e il risultato è perdurato anche dopo un anno. Secondo i ricercatori, dunque, in presenza di sovrappeso e disturbi del sonno come l’apnea, dimagrire risulta il rimedio più indicato. E il più facilmente perseguibile.

fonte SALUTE24.it

Un’ora di sonno extra per un cuore più sano

Si potrebbe definire la rivincita dei dormiglioni: ogni ora di sonno in più rafforzerebbe il cuore contro il pericolo di calcificazione coronarica. È quanto emerge dallo studio pubblicato su The Journal of the American Medical Association dai ricercatori dell’Università di Chicago, secondo cui la durata del sonno è correlata con lo sviluppo di diversi problemi cardiaci. I disturbi coronarici si manifestano con la formazione di “placche“, composte da calcio, che si formano all’interno delle arterie restringendone le pareti e ostacolando il fluire del sangue verso il cuore. La calcificazione coronarica sarebbe dunque connessa con lo sviluppo di infarto e di altri disturbi cardiaci.

Lo studio. La ricerca è stata condotta su 495 persone di mezz’età nell’arco di cinque anni, che, all’inizio dello studio, hanno fornito informazioni sulle loro attività ed abitudini, sul consumo di alcol e fumo, sulla durate del sonno e, infine, sono stati sottoposti alla Tac delle arterie coronariche. I ricercatori hanno anche rilevato che la maggiore parte dei partecipanti dormiva circa sei ore a notte, soltanto pochi soggetti riposavano più di otto ore. Dopo cinque anni i partecipanti sono stati sottoposti ad un’altra Tac, che ha evidenziato come il 12% di loro aveva sviluppato una calcificazione coronarica, soprattutto coloro che  dormivano poche ore durante la notte. Al contrario, le persone che dormivano più a lungo avevano meno probabilità di sviluppare questo disturbo: per ogni ora di sonno in più l’eventualità si riduceva del 33%. Secondo i ricercatori lo studio dimostrerebbe la correlazione tra durata del sonno e la calcificazione delle arterie, pertanto sarebbe opportuno svolgere ulteriori ricerche in grado di confermare come si possa ridurre il rischio di incorrere nei problemi cardiaci prolungando la durata del sonno.


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