Si avvicina il giorno in cui si potrà colpire il cancro in maniera più efficace e mirata. Una ricerca scientifica tutta italiana ha scoperto uno dei meccanismi principali che causano l’accrescimento della massa tumorale e ha trovato una via farmacologica per intervenire su un gene e impedire la crescita del cancro.
Non più dunque attacchi frontali e massicci di chemio e radioterapia, che distruggono tessuti sani e malati, ma un approccio terapeutico specifico che, come un cecchino, colpisce al cuore solo il tumore.
Lo studio italiano, pubblicato sulla rivista “Cell”, ha scoperto che sono delle cellule staminali “impazzite”, che si riproducono in maniera scorretta e inusuale, a colonizzare l’organo malato con moltissime cellule figlie, facendo così aumentare la massa tumorale. Riuscire ad arrestare questa proliferazione incontrollata delle staminali significa bloccare completamente la progressione del tumore, colpendo solo esso e non anche i tessuti sani circostanti.
Questa è la speranza e la missione da tradurre, non senza difficoltà, nella pratica clinica.
La ricerca pubblicata è stata svolta da una squadra di scienziati, coordinata da Pier Giuseppe Pelicci, e condotta da Angelo Cicalese e Giuseppina Bonizzi dell’Istituto europeo di oncologia e dell’Istituto di oncologia molecolare Ifom di Milano.
Questi medici hanno individuato il modo con cui si possono riportare le staminali impazzite del cancro a comportarsi in maniera normale: si tratta del gene p53, che sintetizza un’omonima proteina.
Osservano il tessuto della mammella di alcune cavie malate di cancro, gli studiosi hanno notato che la proteina p53 non funzionava bene e questo causava l’anomalo comportamento delle cellule staminali del tessuto malato della mammella.
Le staminali seguono normalmente una divisione cellulare detta “asimmetrica”: una staminale si divide, cioè, in un’altra staminale e in una cellula che dovrà diventare adulta specializzandosi in uno dei tipi cellulari del nostro organismo. Nel caso osservato in laboratorio, invece, il malfunzionamento della proteina p53 provocava una divisione “simmetrica” delle staminali. Esse, cioè, si replicavano esattamente com’erano, senza generare cellule “bambine” né adulte. Con questa riproduzione incontrollata accrescevano la massa tumorale.
L’arma per vincere contro i tumori non deve, però, colpire queste staminali, ma ripristinare un corretto comportamento della proteina p53, fermando la divisione simmetrica e ripristinando quella asimmetrica. Già ricerche svolte in passato avevano individuato un principio farmacologico capace di ottenere quest’effetto e gli studiosi milanesi l’hanno somministrato ai topolini malati: il risultato è stato che in due mesi il cancro aveva arrestato la sua crescita.
Questa ricerca farà ora partire una serie di test sugli animali malati di questo nuovo farmaco, per sperare di giungere al più presto a una sperimentazione sull’uomo. Ulteriore pregio del lavoro scientifico italiano è quello di aver descritto molto bene i meccanismi proliferativi del cancro e come esso generi le metastasi. E si sa che conoscere il proprio nemico è di fondamentale importanza per batterlo.
Il processo osservato nel carcinoma della mammella potrebbe essere riscontrabile anche in altre forme tumorali: se così fosse si potrebbero allargare di conseguenza le indicazioni terapeutiche della nuova molecola farmacologica, sempre che ne venissero confermate la sicurezza e l’efficacia.
Gli scienziati italiani sono convinti che intervenire sui processi che legano i tumori alle cellule staminali possa non solo colpire la patologia alla radice, ma anche evitare le ricadute che talvolta si verificano per la presenza di staminali malate rimaste nel corpo dopo la guarigione.
In passato i ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma avevano diffuso la notizia che un nuovo prodotto potrebbe rendere l’organismo capace di difendersi dai tumori. Questa sostanza riesce a ‘rimettere a posto’ il gene p53, responsabile della proteina in grado di fermare la crescita dei tumori.
L’osservazione condotta dai ricercatori scandinavi è che almeno la metà delle patologie tumorali è associata a una mutazione del gene relativo alla proteina p53, importante perché ‘mette gli argini’ alla crescita incontrollata delle cellule, tipica dei tumori. La p53, infatti, dirige l’apoptosi, ovvero, il meccanismo che soprintende alla morte delle cellule non necessarie o in soprannumero.
Dopo molti tentativi, gli esperti sono arrivati a individuare una sostanza, il ‘PRIMA-1’, che riesce a riattivare il gene p53. Sperimentato in provetta il PRIMA-1 ha ‘risvegliato’ il gene p53 e ha fatto ripartire l’apoptosi. Inoltre, la sostanza e’ stata anche somministrata a topi in cui erano stati fatti crescere dei tumori.
In base ai risultati raggiunti, il trattamento con PRIMA-1 ha ridotto il volume dei tumori e da ciò la speranzosa dichiarazione degli specialisti svedesi, secondo i quali ”questa scoperta apra la strada alla creazione di nuovi e potenti farmaci per combattere il cancro”.
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