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Gli agrumi attivano le difese e contrastano l’invecchiamento

Le innumerevoli proprietà degli agrumi | Gli agrumi sono i frutti di un gruppo di piante sempreverdi del genere Citrus, il cui nome deriva dal loro sapore ‘agro’. Sono frutti particolarmente ricchi di acidi organici, soprattutto di acido citrico (fino al 6% nei limoni); oltre alla vitamina C, presente nella misura di circa 50 mg per 100 g, contengono anche retinolo equivalenti (che nell’organismo si trasformano in vitamina A), e le vitamine B1, B2, B3. Seguici e scopri le loro innumerevoli proprietà… 

Dal limone al chinotto: usali così | Formati da una bacca ovale o tondeggiante chiamata esperidio, gli agrumi principali sono il limone, la limetta, l’arancia, il cedro, il bergamotto, il mandarino e i suoi ibridi (per esempio la clementina, il mapo, il mandarancio), il pompelmo, il chinotto; si consumano al naturale da soli o in macedonia, in spremute, come condimento, per la preparazione di dolci. Dalla polpa e dalla buccia si ottengono marmellate, canditi, liquori (Mandarinetto, Grand Marnier, Aurum ecc.). Se adoperate la buccia come ingrediente dei vostri piatti, scegliete agrumi rigorosamente biologici, perché è proprio nella loro scorza che si accumula la gran parte delle sostanze tossiche usate per la coltivazione. 

Buoni rimedi per i disturbi da raffreddamento e non solo… | Sono particolarmente indicati per prevenire e trattare raffreddori e influenza, stomatiti, gengiviti, malattie infettive e da carenza di vitamina A e C. I mandarini e le clementine, in particolare, sono calmanti e dissetanti, utile in caso di fragilità capillare, insonnia, inappetenza. La scorza ha proprietà amaro-toniche; poiché contiene limonene e antiossidante e protegge dall’azione dei radicali liberi. Questi due agrumi contengono anche una quantità apprezzabile di bromo, calmante del sistema nervoso, e di acido folico. 

Il re degli agrumi: il limone | Frutto di un piccolo albero sempreverde originario dell’India settentrionale, il limone è uno degli agrumi più coltivati. La buccia è più o meno spessa, di colore giallo o verdino; la polpa è suddivisa in numerosi spicchi ricchi di succo fortemente acidulo. Contiene acido citrico, vitamine del gruppo B, C (in elevata quantità) e P, pochi sali minerali; tra tutti gli agrumi è quello con il più basso contenuto di zuccheri (2,3%). La buccia contiene vitamina A (assente nella polpa), cumarine, flavonoidi, olio essenziale. 

In cucina | Se ne utilizza il succo per evitare l’annerimento di molti ortaggi e come condimento, in alternativa all’aceto, in vinaigrette, marinate e salse. Sia il succo sia la buccia  sono impiegati nella preparazione di zuppe, brodi, risotti, limonate, dolci, gelatine, canditi, marmellate, liquori, cocktail e aperitivi. 

Perché ti fa bene | Il consumo regolare del succo di limone abbassa il livello di zuccheri nel sangue, inoltre è antisettico, battericida, diuretico, astringente, dissetante, tonico del sistema nervoso; grazie al suo contenuto di vitamina C rafforza il sistema immunitario, combatte il raffreddore, il mal di gola e la bronchite e favorisce l’assimilazione del ferro; l’acido citrico presente nel succo di limone stimola la digestione. È utile anche in caso di uricemia e gotta, artrite, reumatismi, arteriosclerosi, obesità, anemia, ipertensione, varici, flebiti, afte, stomatiti, tonsilliti.

Gotta, una malattia dimenticata?

 

Gotta e metabolismo della purina (http://it.wikipedia.org/wiki/File:MetabPurine.png)

Carlo Magno, Giulio Cesare, Galileo, Darwin, Newton, Luigi XIV: grandi uomini della storia ne hanno sofferto! Una malattia del passato che credevamo scomparsa. Invece, anche se non se ne parla quasi mai, l’1-2% degli Italiani adulti (circa un milione di persone) soffre di gotta; numeri in crescita, soprattutto tra donne ed anziani. “La gotta rappresenta l’artrite più frequente nell’uomo, dove raggiunge una prevalenza del 7% dopo i 65 anni” – conferma il prof. Carlomaurizio Montecucco, Unità Operativa di Reumatologia del Policlinico San Matteo Pavia, Direttore della Scuola di Specializzazione in Reumatologia dell’Università di Pavia; “nelle donne compare dopo la menopausa, con una prevalenza che tende ad aumentare con l’età, fino a raggiungere un valore del 3% oltre gli 85 anni”.  A riportare in auge questa “vecchia” malattia i Reumatologi italiani, riuniti a Padova per un corso teorico-pratico sull'”Analisi del liquido sinoviale”, test fondamentale per diagnosticare con sicurezza la gotta che, nonostante sia nota fin dagli albori della medicina, oggi è una malattia sotto diagnosticata, soprattutto quando a soffrirne sia un anziano. “La presentazione clinica e la presenza di un’iperuricemia nota possono indirizzare alla diagnosi; la certezza può essere ottenuta solo dimostrando la presenza di cristalli di urato monosodico nel liquido sinoviale o in un tofo” – afferma il prof. Leonardo Punzi, Dipartimento di Reumatologia, Medicina Clinica e Sperimentale del Policlinico Universitario di Padova. “Purtroppo” – precisa il prof. Punzi – “i progressi nella precisazione diagnostica sono, talvolta, vanificati dall’assenza di strumenti terapeutici adeguati; in Italia non tutti i pazienti tollerano la terapia attualmente disponibile”. “Le malattie spesso parlano un linguaggio diverso nell’anziano, dove possono presentare manifestazioni un po’ differenti da quelle attese” – spiega il prof. Antonio Cherubini, Dipartimento di Geriatria e Gerontoloia dell’Università di Perugia. “Il dolore può essere meno violento, rispetto a quello tipico della gotta acuta; può esserci l’interessamento di più articolazioni anziché di una sola; bisogna sempre considerare che il soggetto anziano soffre spesso di più patologie. Non è raro che siano già presenti condizioni che possono provocare un dolore articolare, come l’artrosi che, fra l’altro, può a sua volta facilitare la comparsa di gotta”. Una serie di fattori che possono sviare il medico, considerando non raro che un anziano abbia avuto degli attacchi in passato, possa essersene dimenticato o che consideri la comparsa di un dolore articolare un’inevitabile conseguenza dell’invecchiamento e quindi non si rivolga al medico ma tenda ad autogestire il problema. Il sempre maggior coinvolgimento della popolazione anziana non è però l’unica variazione che la gotta ha subito nel corso degli anni: se il paziente tipico rimane l’uomo di 40-50 anni con un’artrite acuta dell’alluce, sempre più spesso si osservano casi fra le donne. “Il rapporto fra i due sessi, che fino al 1999 era di sette casi fra i maschi e uno fra le femmine, attualmente è di quattro maschi per una donna – precisa il prof. Marco Cimmino, Clinica Reumatologica dell’Università di Genova. “L’aumento di frequenza della gotta interessa soprattutto le donne dopo la menopausa: se in età fertile viene colpita dalla malattia una donna su 2.000, si stima che, sopra i 50-60 anni, si verifichino 2-3 nuovi casi per 1.000 persone/anno”. Dopo la menopausa calano i livelli di ormoni femminili che, avendo l’effetto di favorire l’eliminazione dell’acido urico con le urine, proteggono la donna in età fertile. A giustificare l’aumento del numero di casi, sia nelle donne che negli uomini, partecipano diversi fattori. “Un contributo è dato dall’uso di una serie di farmaci che sono in grado di determinare un aumento dell’uricemia” – precisa il prof. Montecucco. “Fra quelli di uso più comune i diuretici, farmaci largamente utilizzati come antipertensivi, anche negli individui anziani, e l’aspirina a basse dosi, utilizzata come antiaggregante. Anche la ciclosporina, impiegata per prevenire il rigetto nei trapianti, provoca facilmente iperuricemia e gotta”. Accanto al progressivo invecchiamento della popolazione, altri fattori giustificano l’aumento della gotta: la diffusione dell’insufficienza renale cronica (caratterizzata da aumento dell’acido urico), le variazioni subite dalle abitudini alimentari, col progressivo allontanamento dalla dieta mediterranea a favore di altri alimenti (hamburger, birra fonte di purine, cioè precursori dell’acido urico), la diffusione dell’obesità e del sovrappeso. Anche un’altra ragione ha fatto risvegliare l’interesse per iperuricemia e gotta: l’aumento dei livelli di acido urico nel sangue non si risolve unicamente in un problema articolare; l’acido urico infatti risulta essere un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di danni e di eventi cardio-vascolari e renali. “Per quanto riguarda per esempio l’aumento di rischio di eventi cardiovascolari negli ipertesi, in uno studio condotto in circa 8.000 pazienti, si è potuto dimostrare come coloro che avevano un’uricemia superiore a 7.4 mg/dL presentassero un rischio di eventi cardiovascolari superiore del 50% rispetto a chi aveva valori inferiori a 5 mg/dL – puntualizza la prof.ssa Francesca Viazzi, Dipartimento Cardionefrologico dell’A.O Universitaria San Martino di Genova. “Osservazioni analoghe confermano i legami fra acido urico e danno renale. In uno studio che ha coinvolto oltre 13.000 individui senza patologia renale all’origine, è stato documentato un aumento del 7% del rischio di sviluppare insufficienza renale per ogni mg/dl di incremento dei livelli di acido urico, mentre in un altro studio, su oltre 21.000 volontari sani, è stato possibile dimostrare come un lieve aumento dell’acido urico, (valori compresi fra 7 e 9 mg/dl) comportasse un aumento del 26% di sviluppare insufficienza renale e come per valori superiori a 9 mg/dl l’incremento del rischio fosse addirittura del 63%”. Oggi chi soffre di gotta? Anziani in sovrappeso ma anche chi non ti aspetti: modelle, giovani, belle e magre che, a causa dell’assunzione di diuretici per mantenersi filiformi, ostacolano l’eliminazione dell’acido urico da parte dei reni con comparsa conseguente di iperuricemia che le espone al rischio di attacchi. Un motivo in più per riportare all’attenzione di tutti i medici questa malattia, affinché non sia confusa con altre ma se ne possa fare una diagnosi corretta per prevenirla e curarla.   

 

Gotta: la malattia dei re diventata democratica

re-di-piccheSaranno state le maledizioni dei sudditi o l’opulenza dei banchetti, ma una volta era definita “la malattia dei re”. Oggi la gotta è diventata democratica: è la forma più comune di artrite infiammatoria tra gli uomini con più di quarant’anni e tra le donne in menopausa. La gotta, etichettata come malattia dei ricchi perché innescata da cibi un tempo poco accessibili, è provocata dalla presenza di alti livelli di acido urico nel sangue, i cui cristalli si accumulano negli spazi tra le articolazioni. Spesso parte dall’alluce, ma si manifesta anche in caviglie, gomiti, ginocchia, spalle o polsi con gonfiori, arrossamento e forti bruciori.

 

Oggi ci si ammala di gotta anche senza avere intorno giullari e cortigiane: l’aumento dei tassi di obesità e diabete e l’invecchiamento della popolazione ne hanno incrementato la diffusione circa del 23% negli ultimi anni.


L’alimentazione può influire sugli attacchi della malattia negli individui sensibili. Da bandire l’alcol, perché stimola la produzione di acido urico e ne rende più difficile l’eliminazione. Da tenere sotto controllo gli alimenti ricchi di purina, una sostanza che incrementa la quantità di acido urico, e di fruttosio. Molti dei cibi a rischio, sardine, asparagi, funghi, carni di maiale, vitello, manzo, erano un tempo costosi e introvabili, se non sulle mense dei regnanti. Di qui la definizione di “malattia dei re”. Ma non bisogna abusare neppure di tacchino, interiora, legumi e crostacei.

 

Attenzione quindi al menù perché i casi di gotta aumentano soprattutto durante le feste: tra lasagne, arrosti e contorni, molti non riescono a resistere e cedono a cibi da cui avrebbero dovuto stare alla larga.

 

Una notizia buona, però, c’è: secondo una recente ricerca dell’Università di Vancouver, in Canada, un’alimentazione povera di grassi associata a un consumo moderato di caffè sembra proteggere dalla gotta. A Carlo Magno, ammalatosi a causa di fastosi pranzi di corte, sarebbe probabilmente tornato utile che l’America e il caffè fossero stati “scoperti” prima.

 


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