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Gli agrumi attivano le difese e contrastano l’invecchiamento

Le innumerevoli proprietà degli agrumi | Gli agrumi sono i frutti di un gruppo di piante sempreverdi del genere Citrus, il cui nome deriva dal loro sapore ‘agro’. Sono frutti particolarmente ricchi di acidi organici, soprattutto di acido citrico (fino al 6% nei limoni); oltre alla vitamina C, presente nella misura di circa 50 mg per 100 g, contengono anche retinolo equivalenti (che nell’organismo si trasformano in vitamina A), e le vitamine B1, B2, B3. Seguici e scopri le loro innumerevoli proprietà… 

Dal limone al chinotto: usali così | Formati da una bacca ovale o tondeggiante chiamata esperidio, gli agrumi principali sono il limone, la limetta, l’arancia, il cedro, il bergamotto, il mandarino e i suoi ibridi (per esempio la clementina, il mapo, il mandarancio), il pompelmo, il chinotto; si consumano al naturale da soli o in macedonia, in spremute, come condimento, per la preparazione di dolci. Dalla polpa e dalla buccia si ottengono marmellate, canditi, liquori (Mandarinetto, Grand Marnier, Aurum ecc.). Se adoperate la buccia come ingrediente dei vostri piatti, scegliete agrumi rigorosamente biologici, perché è proprio nella loro scorza che si accumula la gran parte delle sostanze tossiche usate per la coltivazione. 

Buoni rimedi per i disturbi da raffreddamento e non solo… | Sono particolarmente indicati per prevenire e trattare raffreddori e influenza, stomatiti, gengiviti, malattie infettive e da carenza di vitamina A e C. I mandarini e le clementine, in particolare, sono calmanti e dissetanti, utile in caso di fragilità capillare, insonnia, inappetenza. La scorza ha proprietà amaro-toniche; poiché contiene limonene e antiossidante e protegge dall’azione dei radicali liberi. Questi due agrumi contengono anche una quantità apprezzabile di bromo, calmante del sistema nervoso, e di acido folico. 

Il re degli agrumi: il limone | Frutto di un piccolo albero sempreverde originario dell’India settentrionale, il limone è uno degli agrumi più coltivati. La buccia è più o meno spessa, di colore giallo o verdino; la polpa è suddivisa in numerosi spicchi ricchi di succo fortemente acidulo. Contiene acido citrico, vitamine del gruppo B, C (in elevata quantità) e P, pochi sali minerali; tra tutti gli agrumi è quello con il più basso contenuto di zuccheri (2,3%). La buccia contiene vitamina A (assente nella polpa), cumarine, flavonoidi, olio essenziale. 

In cucina | Se ne utilizza il succo per evitare l’annerimento di molti ortaggi e come condimento, in alternativa all’aceto, in vinaigrette, marinate e salse. Sia il succo sia la buccia  sono impiegati nella preparazione di zuppe, brodi, risotti, limonate, dolci, gelatine, canditi, marmellate, liquori, cocktail e aperitivi. 

Perché ti fa bene | Il consumo regolare del succo di limone abbassa il livello di zuccheri nel sangue, inoltre è antisettico, battericida, diuretico, astringente, dissetante, tonico del sistema nervoso; grazie al suo contenuto di vitamina C rafforza il sistema immunitario, combatte il raffreddore, il mal di gola e la bronchite e favorisce l’assimilazione del ferro; l’acido citrico presente nel succo di limone stimola la digestione. È utile anche in caso di uricemia e gotta, artrite, reumatismi, arteriosclerosi, obesità, anemia, ipertensione, varici, flebiti, afte, stomatiti, tonsilliti.

I motivi che ci portano ad ingrassare? Anche la luce lasciata accesa

Bella tirata di orecchie per coloro che hanno cattive abitudini e comportamenti decisamente poco ecocompatibili. Secondo uno studio statunitense, condotto da Laura Fonken del dipartimento di Neuroscienze dell’Ohio State University di Columbus e pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences“, tra i motivi che comportano accumulo di grasso e rischio obesità, potrebbe esserci anche la possibilità di un’eccessiva esposizione alla luce artificiale, in grado di compromettere la nostra linea. Lo studio riguardo gli effetti negativi della luce sul nostro peso forma, è stato condotto sui Pnas, topi di laboratorio tenuti in un ambiente luminoso, anche durante le ore di riposo notturno. Si è potuto evidenziare, nel corso dell’osservazione, un sensibile aumento di peso, di oltre il 50% in più, rispetto ai topi inseriti in un normale ciclo di sonno-veglia e, dunque di luce-buio.

Perchè la luce ci porta ad ingrassare?

Il metabolismo risentirebbe dell’esposizione prolungata alla luce, mantenendosi attivo, anche in quelle ore in cui dovrebbe rallentare ed entrare nel regime di riposo del sonno.
Ciò che appare più sorprendente è che la tendenza ad ingrassare si verifica anche a parità di attività fisica e quantità di cibo consumate. A variare è infatti il ritmo metabolico che, a causa della luce “forzata” a cui si è esposti, tende a modificarsi, facendo sentire gli stimoli della fame in orari non salutari e non riuscendo a smaltire le calorie immesse nella maniera più funzionale per il nostro organismo. Ancora una volta sembra ribadita l’importanza non solo di abitudini alimentari corrette, ma anche di stili di vita salutari, che garantiscano i giusti livelli di riposo, i ritmi di sonno-veglia naturali e riescano, perciò, a far funzionare al meglio il nostro metabolismo. Perciò, attenzione alle ore piccole o alle abitudini da nottambuli incalliti: oltre al riposo, a farne grosse spese potrebbe essere anche la nostra linea. Evitiamo di consumare la nostra cena ad orari troppo lontani dalle consuete abitudini, teniamoci alla larga dalla tentazione di spuntini notturni, soprattutto quando siamo davanti al nostro pc o immersi nella visione di un bel film e cerchiamo il più possibile di mantenere invariato il normale ritmo di sonno-veglia, scandito dall’alternanza tra ore di luce e buio naturale. Infine, se prima di lasciarci avvincere dal sonno, ci ricordiamo di spegnere la luce, di certo facciamo un gesto utile al nostro riposo ed alla nostra linee, e perchè no, anche di attenzione verso il nostro ambiente.

Chili di troppo in gravidanza? Figli più “cicciotti” e a rischio obesità

Le mamme sovrappeso nel periodo della gravidanza hanno maggiori probabilità di mettere al mondo figli con un peso alla nascita superiore ai 4 chilogrammi. A dimostrarlo è un ampio studio apparso sulla rivista The Lancet.

“Poiché un elevato peso alla nascita è associato a un elevato indice di massa corporea (BMI) da adulti, questi risultati suggeriscono che un peso eccessivo durante la gravidanza può incrementare il rischio a lungo termine di disturbi legati all’obesità nei nuovi nati”, spiegano gli autori dello studio David Ludwig del Children’s Hospital in Boston e Janet Currie della Columbia University di New York.

Nel loro studio, i ricercatori hanno messo in relazione il peso di oltre mezzo milione di nascituri con quello delle madri alla seconda o terza gravidanza, in modo da escludere eventuali influenze genetiche sul peso corporeo dei bambini. Dai risultati è emerso che le donne in stato interessante che accumulavano oltre 24 chili di peso avevano una probabilità doppia di partorire figli con peso superiore ai 4 chilogrammi rispetto alle donne che accumulavano dagli 8 ai 10 chili nel periodo della gestazione.

“Un elevato peso alla nascita può incrementare il rischio di altri disturbi (oltre all’obesità) in età adulta come l’asma, la dermatite atopica e il cancro”, sostengono i ricercatori, secondo i quali ad ogni chilo di troppo accumulato dalla madre nel periodo della gravidanza corrisponde un aumento del peso del figlio alla nascita pari a 7,35 grammi. “Ora più che mai le donne in stato interessante devono cercare di adottare un’alimentazione sana e di fare esercizio fisico sin dagli inizi della gravidanza”, ha commentato Jennifer Wu, del Lenox Hill Hospital di New York. Un invito che può significare una salute migliore per il figlio.

 | autore Stefano Massarelli

Articolo originale | Ludwig DS and Currie J. The association between pregnancy weight gain and birthweight: a within-family comparison. The Lancet; 5 agosto 2010. doi:10.1016/S0140-6736(10)60751-9
 

Troppo peso in gravidanza? A rischio obesità bebè

Mettere su troppo peso in gravidanza può minacciare la salute a lungo termine del bambino, che ha una maggiore probabilità di diventare obeso. Lo hanno scoperto i ricercatori della Columbia University con uno studio, pubblicato da Lancet, su 500 mila mamme con due bambini. Secondo lo studio per ogni chilo guadagnato dalla mamma durante la gestazione il piccolo cresce di 7 grammi, e secondo gli autori maggiore è il peso alla nascita maggiori sono le probabilità che il bambino diventi obeso con il passare del tempo. Le donne che hanno avuto un aumento di peso maggiore di 24 chili hanno mostrato una probabilità doppia che il bambino fosse di più di 4 chili. “Visto che un alto peso alla nascita predice un alto indice di massa corporea con il passare del tempo, le donne dovrebbero evitare di prendere troppo peso – scrivono gli autori – inoltre un alto peso alla nascita è legato ad alte patologie, come allergie e asma“.

Col cacao addio a colesterolo e adipe

Diffuso allo stato selvatico nelle foreste dell’Amazzonia, il cacao (Theobroma cacao)  viene coltivato soprattutto nell’America centro-meridionale e nell’Africa tropicale per i suoi semi dai quali si ricava la polvere di cacao, usata per fare il cioccolato e altri prodotti di pasticceria. Toltechi e Incas conoscevano il cacao e ne facevano uso; tuttavia i primi a intraprendere la coltivazione con successo furono i Maya, che dalle piantagioni dello Yucatan svilupparono un fiorente commercio e, inoltre, usarono i semi come moneta negli scambi tra le tribù indigene. L’Europa lo scoprì nel 1502, quando Cristoforo Colombo ne portò in Spagna i primi semi.

Cacao: un rimedio naturale contro i grassi “cattivi” | Uno studio pubblicato dal British Journal of Nutrition indica il cioccolato fondente come fonte preziosa di polifenoli, più ricco di queste sostanze rispetto al vino e al tè verde o nero. In questo studio sono stati valutati gli effetti del consumo di 20 g di cioccolato fondente (contenente 500 o 1000 mg di polifenoli) per 2 settimane, sulla glicemia, sulla colesterolemia e sulla pressione arteriosa in 40 persone in sovrappeso o obese. Il consumo di cioccolato contenente 500 mg di polifenoli ha prodotto una riduzione significativa, sia della glicemia a digiuno che della pressione arteriosa. L’assunzione di 1000 mg di polifenoli al giorno non ha comportato effetti diversi sugli stessi parametri. Lo studio conferma, dunque, i benefici del consumo regolare di dosi moderate di cioccolato fondente sul metabolismo del glucosio (prevenendo diabete e sovrappeso) e nel controllo della pressione arteriosa.

Ricette per la salute a base di cacao

– Per ridurre sovrappeso, ipertensione, ipercolesterolemia: consumare 20 g al giorno di cioccolato fondente di ottima qualità, meglio se al 70%, per due settimane consecutive. Ripetere 4-6 volte all’anno. Naturalmente occorre adottare una dieta sana ed equilibrata, povera di sodio.

– Azione antietà: aggiungere 2 cucchiaini di cacao amaro solubile al latte (vaccino, di capra, di riso, di mandorle o di soia) del mattino, anche per lunghi periodi. Può essere aggiunto anche al caffè.

Tutto quello che devi sapere sul cacao
Kcal/100 g: 306
Grassi: 15,9 g
Proteine: 20,4 g
Glucidi: 15,6 g
Fibre: 28,9 g
Colesterolo: 0    
Vitamine: tiamina (vit. B1) 0,08 mg; riboflavina (vit. B2) 0,30 mg; niacina (vit. B3) 1,70 mg; acido folico (vit. B9) 38,00 mcg; vit. A 7 mcg; vit. C 0 mg.
Sali minerali: sodio 950 mg; potassio 1500 mg; ferro 14,3 mg; calcio 51 mg; fosforo 685 mg; zinco 6,9 mg.


Perché fa bene: è stimolante del metabolismo e possiede un certo effetto vasodilatatore e diuretico. Un po’ di cacao può essere aggiunto al latte dopo il terzo anno di vita. Il cacao, come del resto anche il cioccolato, non va consumato abitualmente.

Il cacao in cucina | Cotto e crudo: il cacao aromatizza un gran numero di alimenti, primi fra tutti i dolci, come torte, crostate, biscotti, gelati, mousse e caramelle; serve inoltre per insaporire il latte e vi si producono degli ottimi digestivi e liquori. in alcuni paesi, come Messico e Spagna, viene usato anche per la preparazione di piatti salati. è largamente adoperato per salse da servire con pollo, tacchino e coniglio, ma anche frutti di mare.

Polvere, semi e burro di cacao

– Il cacao in polvere si acquista in confezioni che possono contenere cacao amaro o dolce. Il criollo è la varietà più antica, dalla qualità eccelsa, molto aromatica e dal sapore delicato e poco amaro. Il forastero ha invece un sapore persistente, marcato, tendente leggermente all’acido. Il cru è il cacao più pregiato dal quale viene prodotto un cioccolato finissimo che, come per molti vini, viene addirittura numerato.

– Le fave di cacao tostate sono usate come spezza fame grazie al loro basso apporto calorico (100 kcal/100 g) e per la loro ricchezza di minerali e vitamine. Oggi le fave di cacao tostate sono impiegate anche in cucina, in abbinamento ad alcuni piatti sfiziosi.

– Dai semi del cacao si estrae un grasso noto come burro di cacao che ha molteplici usi: oltre a essere un ingrediente del cioccolato, è anche una materia prima impiegata nell’industria cosmetica.

Cacao e cosmesi | Maschera nutriente al cacao per viso e capelli

Ingredienti: 1 cucchiaio di cacao in polvere; 1 cucchiaio di yogurt intero e mezzo cucchiaio di miele. Preparazione e applicazione: miscelare bene gli ingredienti e applicare il composto sul viso, evitando il contorno occhi, e/o sui capelli; lasciare agire per 10 minuti. Eliminare con acqua tiepida. Ripetere 2-3 volte a settimana.

Tratto dal terzo volume del “Corso Pratico di Alimentazione Sana e Naturale”


Disturbi respiratori nel sonno

 

Astenia, sonnolenza diurna, turbe dell’umore, cefalea mattutina, deficit di memoria, attenzione, apprendimento. Avete preso in considerazione che il paziente che si presenta con uno o più di questi sintomi possa essere affetto da un “disturbo respiratorio nel sonno“? 

Durante il sonno la ventilazione subisce profonde modificazioni: la risposta recettoriale all’ipossia e all’ipercapnia è ridotta, la stimolazione dei muscoli respiratori è ridotta e le resistenze delle vie aeree aumenta. Queste modificazioni fisiologiche fanno sì che durante il sonno possano insorgere disturbi respiratori (es. russamento, sindrome delle apnee nel sonno) o si possa avere un peggioramento del quadro respiratorio indotto da altre patologie quali obesità, asma bronchiale, rinite, broncopneumopatia cronica ostruttiva, patologie neuromuscolari e cardiovascolari. 

La sindrome delle apnee nel sonno è una patologia a tutt’oggi raramente presa in considerazione, ma causa di un importante quadro sintomatologico e di significative complicanze extra-respiratorie. Per “apnea” si intende l’assenza di flusso oro-nasale per almeno 10 secondi, mentre è detta “ipopnea” una riduzione, per almeno 10 secondi, dell’ampiezza del flusso oro-nasale di almeno il 30% rispetto al flusso basale associata a una desaturazione ossiemoglobinica di almeno il 4%, oppure una riduzione del flusso oro-nasale di almeno il 50% associata a una desaturazione ossiemoglobinica del 3% o superiore. In base al meccanismo che ne è alla base si distinguono apnee ostruttive (ostruzione delle alte vie aeree), centrali (espressione di una disfunzione del controllo della ventilazione a livello centrale) e miste (interazione dei precedenti meccanismi), sebbene i vari tipi di apnee possano essere contemporaneamente presenti nello stesso soggetto(1).
Gli eventi apnoici sono associati a fenomeni di ipoventilazione, desaturazione ossiemoglobinica, attivazione del sistema nervoso simpatico e “microrisvegli” con frammentazione del sonno e inevitabili ripercussioni sulle performance psicofisiche. Secondo i dati presenti in letteratura, la prevalenza di apnee ostruttive nel sonno associate a significativa sonnolenza diurna è stimata attorno al 4% negli uomini e al 2% nelle donne, ma è ragionevole ipotizzare che gli attuali dati di prevalenza non rispecchino il reale peso sociale di questo gruppo di patologie. Infatti il russamento, fenomeno che si accompagna in altissima percentuale dei casi alla presenza di apnee, è presente in circa il 60% degli uomini e il 40% delle donne(2).
 

Le apnee ostruttive sono il fenotipo più frequente e trovano ragione nella particolare struttura anatomica delle alte vie aeree. Il faringe, per esempio, è privo di strutture ossee o cartilaginee che ne garantiscano la pervietà, pertanto quest’ultima viene mantenuta attraverso l’azione dei muscoli dilatatori, la cui attività consente di mantenere aperte le vie aeree controbilanciando la loro tendenza al collasso. Il sonno induce una riduzione del tono dei muscoli dilatatori del faringe con conseguente predisposizione al collasso delle vie aeree superiori, fenomeno più evidente negli uomini(3).
I ripetuti episodi di apnea e ipopnea inducono desaturazioni emoglobiniche a cui seguono meccanismi di sicurezza (arousal) che portano al risveglio o a microrisvegli del paziente. Il risultato di tutto ciò è una frammentazione del sonno e, a lungo termine, la possibile comparsa di danni sistemici. La sindrome della apnee ostruttive nel sonno (obstructive sleep apnea syndrome, OSAS) rappresenta l’esempio paradigmatico di come la compromissione qualitativa del sonno possa ripercuotersi significativamente sullo stato di vigilanza diurna, conducendo a gravi problematiche quali un maggiore rischio di incidenti stradali (4) o sul lavoro. L’eccessiva sonnolenza diurna, definita come la propensione ad addormentarsi in orari, luoghi o situazioni inappropriate, è il sintomo diurno più comune nei pazienti affetti da disordini respiratori del sonno. L’eccessiva sonnolenza diurna deve sempre essere indagata, in quanto potrebbe essere l’unico sintomo di patologie anche gravi e avere inevitabili ripercussioni sulla vita sociale e lavorativa(5).
I pazienti affetti da disturbi respiratori del sonno lamentano quasi costantemente astenia e ridotta tolleranza all’esercizio fisico. In ragione di tali sintomi, i pazienti tendono ad avere una vita piuttosto sedentaria, che sfocia spesso nell’incremento ponderale che aggrava ulteriormente la frequenza e la gravità dei disturbi respiratori del sonno. Alcuni autori ipotizzano anche che l’astenia sia in parte derivante dalle complicanze cardiovascolari (ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco) che insorgono a lungo termine in questi pazienti(6).
La relazione tra disturbi del sonno e cefalea è senza dubbio bi-univoca: se da un lato emicrania, cefalea muscolo-tensiva e a grappolo possono esacerbarsi durante il riposo notturno, dall’altro i disturbi respiratori del sonno possono essere responsabili dell’insorgenza di cefalea mattutina(7). Il sonno rappresenta una fase fondamentale nei processi di memorizzazione. Durante il sonno, le informazioni acquisite durante la veglia vengono elaborate, integrate e quindi immagazzinate nella memoria a lungo termine. Una compromissione del sonno conduce quindi a una consensuale compromissione della memoria(8).
Numerosi studi hanno dimostrato una più alta prevalenza di sintomi depressivi (dal 40% al 56%) in pazienti affetti da disturbi respiratori del sonno rispetto alla popolazione generale. Viceversa, il sonno può essere fortemente impattato dalla presenza di disturbi dell’umore. Alcuni autori ipotizzano un ruolo cruciale dell’ipossiemia notturna, indotta dai disturbi respiratori del sonno, nella patogenesi dei disturbi dell’umore(9).
L’insorgenza di disturbi respiratori del sonno è senza dubbio favorita dalla presenza di alcune condizioni predisponenti e in considerazione dell’elevato peso socio-economico che l’OSAS riveste, riconoscere e correggere i fattori di rischio rappresenta senza dubbio il primo passo per ridurne la prevalenza. I fattori in grado di influenzare i disturbi respiratori del sonno agiscono amplificando le fisiologiche modificazioni indotte dal sonno sulla ventilazione e sulle vie aeree. L’obesità, per esempio, altera la struttura e la funzione delle vie aeree superiori(10), compromette la risposta ventilatoria a ipossia e ipercapnia, riduce la compliance del sistema respiratorio attraverso l’accumulo di tessuto adiposo a livello di parete toracica e diaframma(11).
 

L’incidenza dell’OSAS nella popolazione obesa varia tra il 40 e il 90%, mentre tra i pazienti con apnee ostruttive nel sonno la prevalenza dell’obesità è pari al 61-78%. Tra i fattori influenzanti i disturbi respiratori del sonno deve essere ricordato anche l’alcool, in quanto potenzia l’effetto del sonno sulle resistenze delle vie aeree determinando un ulteriore incremento delle stesse(12). Anche l’utilizzo di alcuni farmaci, in particolare benzodiazepine, oppioidi e altre sostanze ad azione sedativa, può interferire con l’attività respiratoria durante il sonno. Le sostanze ad azione ipnotica possono determinare inibizione del drive respiratorio a livello centrale. Poiché i pazienti affetti da disturbi respiratori del sonno lamentano frequenti risvegli, ricorrono spesso all’utilizzo di questi farmaci; in realtà tali farmaci, seppur in grado di ridurre i risvegli e aumentare il tempo di sonno, spesso determinano una riduzione dei valori di saturazione ossiemoglobinica media e un aumento delle apnee(13). Anche gli oppioidi, dotati di un potente effetto depressivo sui centri del respiro, inducono un notevole incremento dei disturbi respiratori del sonno(14).
Al di là dei sintomi a essa direttamente connessi, l’OSAS è strettamente correlata all’insorgenza di ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari (aritmie, cardiopatia ischemica), ematologiche (policitemia), urologiche (impotenza) e cerebrovascolari (ictus cerebri)(1,15). Gli episodi di apnea sono responsabili di fenomeni di ipossiemia, ipercapnia, arousal e modificazioni della pressione intratoracica con conseguente aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico e disfunzione endoteliale: tali fenomeni sarebbero alla base dei principali effetti cardiovascolari dell’OSAS, effetti che migliorano o vengono a risoluzione con un opportuno trattamento delle apnee.

La diagnosi di OSAS si basa su criteri soggettivi e oggettivi. Sebbene l’OSAS possa associarsi a un importante quadro sintomatologico, spesso i motivi che conducono il paziente dal medico sono le “pause del respiro”, riferite dal partner di letto, e la preoccupazione di disturbare i conviventi con il russamento(16). A fronte di un’anamnesi significativa, integrata dall’esecuzione di questionari sulla sonnolenza quali per esempio la scala della sonnolenza di Epworth, è opportuna l’esecuzione del monitoraggio cardiorespiratorio notturno ed eventualmente della polisonnografia completa. Il primo consiste nella registrazione di parametri quali rumore respiratorio, flusso aereo oro-nasale, movimenti toraco-addominali, frequenza cardiaca, ossimetria, posizione corporea; questa metodica permette l’identificazione diretta degli eventi respiratori ma non l’identificazione dei periodi di sonno né la distinzione fra sonno NREM/REM(17). Si parla di polisonnografia quando i parametri di cui sopra sono integrati dalla registrazione dell’elettroencefalogramma, elettro-oculografia ed elettromiografia. L’evidenza di eventi apnoici in numero superiore a 5 all’ora, associata alla presenza di sonnolenza diurna o di almeno due sintomi tra chocking o gasping nel sonno, risvegli ricorrenti, sonno non ristoratore, astenia e deficit di concentrazione, consentono una corretta diagnosi(18).
L’ossimetria notturna non permette la diagnosi di apnee del sonno, tuttavia può essere un utile strumento per individuare i pazienti con elevata o bassa probabilità di OSAS e pianificare il percorso diagnostico più opportuno. I dati ottenuti mediante monitoraggio ossimetrico insieme a un’adeguata valutazione clinica (fattori di rischio, segni e sintomi compatibili) possono essere utilizzati per lo screening di pazienti laddove non sia possibile eseguire un monitoraggio polisonnografico o cardiorespiratorio completo del sonno. In ogni caso, in presenza di quadri clinici suggestivi per disturbi respiratori del sonno, il riscontro di valori saturimetrici notturni nella norma non permette di escludere la presenza di apnee nel sonno e deve essere necessariamente eseguito un monitoraggio poligrafico notturno. I trattamenti da mettere in atto in caso di OSAS sono da decidere sulla base della causa scatenante, del livello di gravità dell’OSAS e della sintomatologia lamentata dal paziente. Gli approcci terapeutici attualmente disponibili consistono nella modificazione dello stile di vita, nell’utilizzo di dispositivi orali, nella chirurgia delle alte vie aeree e nella ventilazione meccanica con pressione positiva continua (CPAP).

Le modificazioni dello stile di vita con riduzione dell’apporto di alcool nelle ore serali, la riduzione del peso quando necessario e i consigli sulla postura nel sonno sono essenziali in tutti i pazienti. La posizione supina favorisce la comparsa di roncopatia e apnee nel sonno, in quanto causa una significativa riduzione del diametro anteroposteriore dell’orofaringe. Dormire in posizione supina non determina soltanto un aumento del numero di apnee ma anche un aumento della loro gravità, rispetto a quanto osservato in posizione laterale(19).
In casi di OSAS lieve e nei soggetti russatori, buoni risultati si ottengono con l’utilizzo di devices orali, il cui obiettivo è di impedire lo scivolamento posteriore dell’arcata mandibolare durante il sonno(20). Nel caso di evidenti alterazioni anatomiche documentate direttamente (retrognazia, micrognatia, deviazione del setto) o endoscopicamente dall’otorinolaringoiatra (ipertrofia di turbinati, tonsille, adenoidi, ugula o palato, ostruzione nasale etc.), specie se causa di ostruzione delle vie aeree documentata durante l’esecuzione dell’endoscopia durante il sonno(21), può essere risolutivo l’intervento chirurgico. La ventilazione con apparecchi a pressione positiva continua (CPAP) con interfaccia nasale o oro-nasale rappresenta il presidio più efficace per ridurre gli eventi apnoici e le desaturazioni ossi-emoglobiniche durante il sonno con conseguenti miglioramenti in termini di qualità del sonno e sonnolenza diurna, prevenire le complicanze cardiovascolari dell’OSAS e la mortalità da causa cardiovascolare, ridurre le alterazioni della sfera neuropsichica conseguenti all’OSAS, diminuire il numero di incidenti stradali e migliorare la qualità della vita(22,23,24).
 

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L’orario dei pasti, un fattore di obesità

Sul fatto che le dimensioni del nostro giro-vita aumentino proporzionalmente alla quantità di cibo ingerita non ci sono dubbi. Ma sembrerebbe anche che l’orario in cui si consumano i pasti abbia un ruolo importante nell’assunzione del peso.

Mangiare la notte fa ingrassare? | Dopo avere rilevato la tendenza ad ingrassare in coloro che lavorano di notte, i ricercatori della Northwestern University hanno cercato di indagare se il non rispetto dei ritmi circadiani naturali in riferimento all’orario dei pasti può contribuire all’assunzione di peso. A questo scopo, due gruppi di cavie di laboratorio sono state sottoposte alla stessa dieta ipercalorica. La solo differenza nel tipo di trattamento riservato ai due gruppi stava negli orari di somministrazione del cibo. Un gruppo venne nutrito durante la notte, cosa che è in realtà corrisponde all’orario normale per i topi che sono animali notturni, mentre l’altro gruppo fu alimentato durante il giorno, corrispondente al loro momento di riposo abituale. Nei topi nutriti negli orari per loro naturali fu riscontrata, al termine di sei settimane, un‘assunzione di peso del 20 %, mentre il secondo gruppo mostrò un aumento di peso pari al 48 %, unito ad un aumento dell’ 8 % del tasso di massa grassa corporea.

Dimagrire, una semplice questione di tempi? | Fred Turek, co-autore dello studio e direttore del Northwestern Center of Sleeping and Circadian Biology, ha affermato che questi risultati sembrano mostrare che esiste realmente un cattivo momento per mangiare. Secondo Turek, comprendere le ragioni per le quali una persona assume del peso non è una questione semplice, ma sembra che la chiave non risieda unicamente nelle calorie. In un comunicato stampa, Turek ha aggiunto che migliorare il calendario dei pasti, cosa che richiederebbe un cambiamento dello stile di vita, potrebbe essere un elemento determinante per contrastare la diffusione dell’obesità.

Dormire per dimagrireI ricercatori suggeriscono che mangiare tardi la sera, quando il nostro corpo si prepara al riposo, turba il nostro ritmo circadiano, l’orologio interno che disciplina non soltanto il cicli del sonno-veglia ma anche l’alimentazione e i cicli di attività. Nel 2006, da una relazione dell’ Institute of Medicine focalizzata sugli effetti del sonno sul corpo, è emerso che ‘la lotta contro l’ obesità avrebbe degli effetti benefici anche sui disturbi del sonno, e allo stesso tempo, curare i disturbi del sonno potrebbe aiutare gli individui obesi”. “Il sonno svolge un ruolo molto importante nel metabolismo„, ha dichiarato l’autrice principale Deanna Arble, neurologa al Northwestern. Deanna Arble precisa che nella fase attuale non è possibile definire il calendario ideale dei pasti, ma che bisogna ricordare alle persone di non mangiare durante le ore notturne, dedicate al riposo, poiché ciò conduce ad un aumento di peso. Arble ricorda che con questo non si deve perdere di vista l’importanza del contributo calorico totale; se c’è un eccesso di assunzione di calorie durante il giorno, l’orario dei pasti è probabilmente indifferente. Inoltre, cenare leggero diminuisce sicuramente il contributo calorico globale.

 | Autore Susan Brady

Obesità: I Batteri intestinali stimolano l’appetito

Alcuni tipi di batteri che risiedono naturalmente nell’intestino possono  generare un aumento dell’appetito, all’origine dell’obesità e di altri sintomi non salutari derivati da un peso eccessivo. Secondo un report pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Science, alcuni tipi di batteri nell’intestino causano un’infiammazione che si riflette sull’appetito e genera dei disturbi infiammatori dell’intestino come la colite e il Morbo di Crohn. L’autore principale dello studio, Andrew Gewirtz, professore associato di medicina alla Emory University School of Medicine di Atlanta, spiega, “Studi precedenti suggerivano che i batteri possono influenzare il modo in cui l’energia viene assorbita dal cibo, ma queste scoperte dimostrano che i batteri intestinali possono realmente influenzare l’appetito.” La scoperta è stata fatta da Gewirtz e dal suo team nel corso delle sperimentazioni sulle cavie affette da colite. Questa sperimentazione veniva condotta per confermare il sospetto che la colite fosse causata da un tipo particolare di germi. E’ emerso che i batteri e altri microrganismi si insediano nelle cavie subito dopo la nascita. Poiché questi organismi sono molto simili a quelli trovati nelle madri, i ricercatori hanno trasferito gli embrioni delle cavie in altre cavie madri ospiti per prevenire possibili infezioni contratte dalle madri biologiche. Sebbene la colite nelle cavie nate dalle madri ospiti sia migliorata considerevolmente, le cavie sono diventate comunque obese e hanno sviluppato una serie di sintomi conosciuti nell’insieme come sindrome metabolica, che sono spesso precursori di malattie cardiache e diabete. Questi sintomi includono dei livelli pericolosi di colesterolo, eccessivo grasso a livello dello stomaco, pressione alta e resistenza all’insulina, un disturbo che impedisce all’organismo di digerire adeguatamente il cibo. Riguardo queste scoperte Gewirtz ha dichiarato, “E’ ormai un dato acquisito che l’epidemia di obesità nel mondo sviluppato è causata da uno stile di vita sedentario sempre più diffuso e dall’abbondanza di cibi economici e con un alto contenuto calorico. Tuttavia, i nostri risultati suggeriscono che il consumo eccessivo di calorie non è solo il risultato di un’alimentazione disordinata, ma che i batteri intestinali contribuiscono ai cambiamenti nell’appetito e nel metabolismo. Degli studi precedenti hanno dimostrato che le persone con un peso normale hanno tipi e quantità diversi di microbi che vivono nell’intestino. Tuttavia Gewirtz e i suoi colleghi hanno scoperto che sia l’aumento dell’appetito che la resistenza all’insulina possono essere passati da una cavia  a un’altra attraverso i batteri intestinali. Gewirtz ha aggiunto che “è possibile che  una sindrome metabolica sia contratta dall’ambiente anziché ereditata geneticamente.” Il team di Gewirtz sta attualmente lavorando per identificare il microrganismo responsabile. Inoltre, stanno cercando di determinare se nelle persone obese risultano campioni unici di batteri intestinali. E’ noto che un gene recettore denominato toll-like receptor 5 (TLR5)svolge un ruolo importante nel controllo dei batteri intestinali. I ricercatori si sono prefissi di investigare le variazioni del gene TLR5 presso gli umani e di determinare l’impatto che i batteri presenti nelle cavie prive del TLR5 può avere sull’appetito e sul metabolismo. Riguardo alle misure prese per migliorare la salute delle cavie Gewirtz ha dichiarato, “Se limitiamo la somministrazione di cibo le cavie cessano di essere obese. Restano tuttavia resistenti all’insulina.” Un’alimentazione sana e e una terapia antibiotica sono due fattori chiave nella riduzione di peso nelle cavie dello studio. I risultati della ricerca supportano l’importanza di un’alimentazione sana per una buona salute.

 | Autore Drucilla Dyess

 


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